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Un amico mi chiese come mai, dopo aver passato un mese a fare il conto alla rovescia su facebook, non avessi ancora scritto la rcensione di "Harry Potter e i Doni della Morte". La risposta è perchè volevo prima "metabolizzare" la visione del film, prima di darne un giudizio completo. Credo che sia arrivato il momento di farlo, se non altro perchè il film merita qualche parola.
Innanzitutto voglio riportare la profonda incredulità che mi ha colto allorquando, terminata la visione del film, mi sono resa conto del fatto che Yates sembra essere rinsavito. Sarà che gli saranno fischiate le orecchie dopo tutte le bestemmie che noi potteriani gli abbiamo rivolto in seguito al fiasco clamoroso di "Harry Potter e il Principe Mezzosangue"; sarà che ha parlato con un buon psichiatra, sta di fatto che nel settimo capitolo cinematografico della saga più bella di tutti i tempi, il regista si è deciso a focalizzare la propria attenzione sulle VICENDE del libro e non su quelle di SUA invenzione. E se nel sesto film era tutto un susseguirsi di sbaciucchiamenti (penosi, tra l'altro) e sospiri d'amore, nel settimo ci si ritrova ad ammirare scene più interessanti, come l'infiltrazione di Harry, Hermione e Ron al Ministero della Magia (di una fedeltà al libro alquanto insolita per David Yates) e più emozionanti, come la sequenza finale, in cui è rappresentata la struggente morte di Dobby, l'elfo domestico. Mi ha colpito particolarmente anche la sequenza di apertura, che vuole mostrare la drammaticità della situazione nel mondo magico, ormai costretto a convivere con l'incubo e il terrore quotidianamente, come precisa anche il Ministro della Magia nella primissima scena. A questa seguono delle scene che rappresentano la preparazione dei protagonisti al difficile percorso che li attende, quello che li porterà alla ricerca degli Horcrux (oggetti preziosi in cui Voldemort ha nascosto parti della propria anima frammentata) e allo scontro finale con Colui Che Non Deve Essere Nominato. Mi piace la parte in cui Hermione modifica i ricordi dei suoi genitori (babbani): una decisione molto triste, ma necessaria, dato che la ragazza non ritornerà nella scuola di magia e stregoneria di Hogwarts (come del resto faranno anche Harry e Ron), ma sarà impegnata in un viaggio di crescita e scoperta di sè e del pericolo. Sono belle le musiche che fanno da sottofondo a questa sequenza, in cui è mostrato anche Ron, che, con uno sguardo leggermente inebetito (che forse nell'intenzione di Rupert Grint voleva essere "perduto in riflessioni sul viaggio imminente", ma che, secondo il mio modesto parere, somiglia al mio sguardo quando leggo un problema di Analisi Matematica) scruta l'orizzonte.
Un orizzonte plumbeo, come plumbei sono i colori e i silenzi del film. Infatti, a differenza delle precedenti, la pellicola si segnala per lunghe sequenza silenziose e inquadrature mute di vaste lande desolate, foreste cupe, spazi pietrosi e impervi, nei quali i tre amici si accampano con la loro tenda e il loro primo Horcrux ritrovato, il medaglione di Salazar Serpeverde, rubato a Dolores Umbridge al Ministero. Un Horcrux che è un fardello enorme, che va ad aggiungersi alla stanchezza e alla paura dei ragazzi, i quali non sanno come distruggere l'oggetto (e quindi il frammento di anima voldemortiana in esso contenuto) e come fare per trovare gli altri Horcrux. Così Ron, forse il più debole dei tre (o semplicemente il più vulnerabile al potere malefico del medaglione) litiga con Harry e abbandona l'amico e l'amata Hermione, salvo poi ritornare provvidenzialmente più tardi, proprio quando Harry ha trovato la spada di Grifondoro e quindi l'arma per distruggere l'Horcrux. Molto bella la scena che descrive la distruzione del medaglione, fedele al racconto e ricca di suggestioni. Tuttavia, penso che la sequenza più riuscita, quella che veramente mi ha fatto dire che "Harry Potter e i Doni della Morte" è un bel film, riguardi la rappresentazione della favola dei "Tre Fratelli", quella che in effetti dà il nome al libro e alla pellicola. La storia dei doni della morte, richiesti ciascuno da tre fratelli che incontrano la Morte lungo il proprio cammino, infatti, è rappresentata attraverso le ombre: i personaggi sono ombre, la Morte è un'ombra larga e incombente, i paesaggi sono ombre. È bello l'uso dell'ombra, perchè rende l'idea della fiaba e allo stesso tempo della realtà (almeno parziale) della storia. Infatti uno dei tre fratelli è Ignotus Peverell, antenato di Harry, che chiede alla Morte il suo Mantello dell'Invisibilità, del quale si serve per sfuggirle a lungo, prima di arrendersi alla vecchiaia e all'inevitabile detsino dei mortali. Il Mantello dell'Invisibilità di Ignotus non è leggenda: esiste davvero e passa di generazione in generazione, arrivando ad Harry, che se ne servirà spesso durante le sue avventure. L'ombra, dicevo, esiste, dunque è realtà, ma allo stesso tempo è fuggevole e intoccabile, come una fiaba. Mi sorprende, quindi, che Yates sia stato capace di portare sullo schermo così bene la storia dei tre fratelli.
Un po'lenta e priva di drammaticità (al contrario, nel romanzo, il drammatico traspare da ogni parola) è la penultima sequenza a Villa Malfoy nella quale Harry, Ron ed Hermione affrontano i terribili Mangiamorte, decisi a consegnare Harry a Voldemort. In questa scena Hermione dovrebbe soffrire a morte per le torture di Bellatrix Lestrange (una bravissima Helena Bonham Carter), ma Emma Watson sullo schermo si limita (come suo solito) ad alzare e abbassare in fretta le sopracciglia e Ron, che dovrebbe disperarsi e lottare con le unghie e i denti (ma letteralmente) per salvare la sua amata, in realtà si limita a qualche urletto e a qualche movimento fiacco delle braccia. Ma il tutto viene compensato dall'eroico arrivo di Dobby, l'elfo domestico amico fedele di Harry Potter, che in nome della Libertà, quella interiore e non quella di facciata, salva i tre, beccandosi una pugnalata al cuore dalla perfida Bellatrix. Ora, nonostante noi potteriani conoscessimo la fine dell'elfo, alzi la mano chi non ha pianto come una cascata quando ha visto gli occhioni viteri di Dobby guardare per l'ultima volta l'affranto Harry Potter. La scena della morte di Dobby è straziante. Non trovo altro aggettivo meno banale. Si piange a singhiozzi e gli spettatori se ne escono dal cinema con un grande vuoto nel cuore.
Complessivamente il film mi è piaciuto molto: ha una marea di difetti (secondo mia sorella manca della "drammaticità degli eventi" che troviamo, invece, nel libro) e David Yates continua ad essere un coglione, però mi è piaciuto. Mi sono emozionata molto, anche nelle lunghissime scene mute, in cui non succedeva niente, ma ci si limitava a mostrare la cupezza del paesaggio (e per traslazione dell'anima dei personaggi). Adesso aspettiamo con ansia la seconda parte (per chi non l'avesse capito: il settimo film l'hanno diviso in due, Yates, infatti, ha pensato bene di non escludere nulla del libro), sperando che l'epica battaglia finale non venga oscurata dal matrimonio di Harry con Ginny/Bonnie WrightBloccodiMarmo.
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