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Harstad

Creato il 14 settembre 2010 da Dario
HarstadQualche settimana fa mi sono preso un giorno di permesso per andare a visitare Harstad. Perché Harstad? Perché è una cittadina costiera a duecento chilometri di distanza da dove vivo e quindi si poteva visitare in un giorno senza dover spendere soldi per il pernottamento.
Che c'è di bello da vedere ad Harstad? Volete una risposta onesta e schietta? Niente. O meglio niente se avete visto una qualsiasi cittadina norvegese.
Il centro con i negozietti di artigianato, articoli sportivi, pub discoteche, ristoranti nei quali degustare cucina cinese, italiana, greca e messicana. Cucina greca, messicana e italiana erano proposte nello stesso locale, mentre quella cinese in un ristorante a parte.
Si penserà, chissà che confusione fanno i norvegesi; tacos e pasta al ragù, burritos e tortellini. All'inizio pensavo ad una scarsa cultura gastronomica da parte loro poi mi sono reso conto che anche noi non stiamo meglio per quanto riguarda la cucina etnica.
Per esempio esistono ristoranti di cucina giapponese gestiti da cinesi, a Verona hanno aperto un posto self service cino – giapponese. Immaginate mangiare insieme sushi e maialino in agrodolce. La cucina messicana scaligera ha sapori molto diversi da quella originale. E il buon kebab? Teoricamente come lo si conosce è un invenzione degli immigrati turchi in Germania ma a Verona oltre che turchi abbiamo kebabbari, pakistani e marocchini.
Ecco forse perché qui, come la battuta del film “Mediterraneo”, si potrebbe dire: “Italiani, greci e messicani, una faccia, una razza”
Dicevo il centro con i suoi luoghi di svago, l'area portuale, l'area industriale e commerciale e quella residenziale. Belle casette eccetto una che mi impressionò perché era bruciata. Sul retro erano stati ammassati mobili e cianfrusaglia varia e i residenti vivevano in una squallida roulotte installata in giardino. Lo spettacolo mi parlava di alcolismo e forti problemi sociali. Era il primo esempio di povertà in Norvegia.
Il tempo era orribile, pioveva che Dio la mandava. Percepii qualcosa di diverso rispetto alla situazione italiana. Per un momento non seppi che cos'era poi fu lampante.
Anche se pioveva non c'era traffico. A Verona, basta una pioggerella di primavera per saturare le strade di vetture che procedono più lente del “a passo d'uomo” con tutti che si fanno scoppiare le coronarie a forza di bestemmiare, suonare il clacson e sporgere la testa per vedere se c'è spazio per infilarsi.
Qui no. La gente (inclusi gli anziani) apre l'ombrello o indossa un impermeabile e cammina come se niente fosse. Si fermano anche a chiacchierare sotto l'acqua. Impensabile da noi eppure quasi tutti i siti di Verona, con un minimo di piste ciclabile, sarebbero raggiungibili in bici.
Ma perché è impensabile da noi? La pioggia vi assicuro che è uguale. E la gente non scivolava sul marciapiede, non si ammalava, nel peggiore dei casi solo si bagnava.
Non lo so ma pare che da noi ci sia una fobia per la pioggia. Ricordo la mia adolescenza, Quando mi sorprendeva un acquazzone e tornavo a casa fradicio ricevevo sgridate a mio avviso immotivate: “Guarda, sei tutto bagnato!” Ebbene sì, piove, non avevo l'ombrello, come sarei dovuto essere? Ci si asciuga, se si è preso freddo ci si scalda con una doccia e poi tutto si risolve. No, sembrava che fossi tornato a casa passando dalle fogne.
Pensavo al sogno di tanti attivisti della mia città che si battono da anni per la riduzione del traffico. Come dicono loro non esiste nessun impedimento tecnico; è solo questione di cultura.
Volete un altro aneddoto sorprendente? Qualcosa di inimmaginabile da noi?
Verso le quattro mi trovavo di fronte ad un edificio scolastico. Ne osservavo la struttura a scatolone modulare molto simili alle nostre scuole. Ad un certo punto suonò la campanella e gli studenti uscirono. Dall'età dei rampolli dedussi che si trattava di una scuola media.
Anche in questo caso subito non mi sono reso conto ma poi la differenza con la realtà italiana è   stata lampante. Nel piazzale della scuola non c'era nessuno. Nessun genitore in macchina a recuperare il proprio figliolo attirando la sua attenzione aggrappandosi al clacson. Non c'era nemmeno il nonnino con la casacca fluorescente. 
Qui basta fermarsi sovrappensiero davanti alle strisce pedonali per bloccare il traffico.
E che facevano i ragazzini? In crocchi si dirigevano verso casa, alla nordica, senza tanto gridare. Parte di loro andava alla fermata dell'autobus.
Perché invece da noi si scatena giornalmente  il safari selvaggio per portare o andare a prendere i figli? La scuola media, generalmente è nel quartiere dove si abita, i rischi sono gli stessi  che corrono i ragazzini norvegesi. 
Anch'io negli anni novanta come la maggioranza dei miei coetanei andavo a scuola a piedi, in autobus o in bicicletta. Cosa è successo?

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