Si chiama Hasan Tafah, ha 86 anni ed è malato di leucemia. In qualsiasi altro paese questo anziano signore, di professione avvocato, sarebbe oggi nella sua casa, al massimo condannato agli arresti domiciliari. Nella Repubblica Islamica, al contrario, anche un anziano e dolorante signore, deve restare impietosamente dietro le sbarre. Hasan Tafah è nato in Iran da genitori iracheni. Arrestato dalle Guardie Rivoluzionarie nel 2008, è stato accusato prima di attività contro lo Stato, poi di essere una spia. Nel 2009, quindi, nonostante la sua veneranda età, Hasan Tafah è stato condannato dal giudice Salavati a 15 anni di carcere. Gravemente ammalato e sofferente, Hasan è stato rilasciato su cauzione nel dicembre del 2012, ma nel febbraio del 2014 – incredibilmente – le autorità iraniane lo hanno riportarto nella prigione di Rejaei Shahr per servire la sua pena.
La condanna di Hasan Tafah, non desta sgomento solamente per l’età e la situazione sanitaria del prigioniero, ma lascia anche seri dubbi sulle reali ragione per cui l’anziano avvocato è stato arrestato. Hasan ha sempre negato ogni coinvolgimento in azioni politiche, rivendicando il successo della sua attività professionale e il suo disinteresse verso altri argomenti. Secondo Mansour Osanloo - sindacalista arrestato e torturato in Iran, oggi rifuguato negli Stati Uniti - la verità dietro l’arresto di Hasan Tafah è ben diversa da quella che racconta il regime. L’avvocato Tafah, infatti, aveva anche aperto un ufficio a Dubai e si occupava attivamente di questioni internazionali. Il Ministero dell’Intelligence iraniano (MOIS), quindi, pare aver chiesto ad Hasan di diventare un collaboratore e passare informazioni sulle proprie attività e sui clienti direttamente ai Pasdaran. Davanti al diniego del diretto interessato, il MOIS avrebbe deciso di vendicarsi e chiudergli la bocca.
Parlando della gravissima malattia di cui soffre Hasan, Mansour Osanloo ha denunciato che la clinica del carcere Rejaei Shahr non è attrezzata affatto per curare malattie mortali come la leucemia. Nonostante tutto, il regime iraniano continua a negare la libertà ad Hasan Tafah, condannandolo così ad una morte certa, in solitudine e sofferenze.