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Hate & merda

Creato il 18 novembre 2014 da The New Noise @TheNewNoiseIt

Hate & Merda - foto by Werner Swan

Dal vivo ci hanno colpito allo stomaco, su disco ci hanno dato il colpo di grazia e siamo caduti al tappeto. In un 2014 quanto mai ricco di sorprese, gli Hate & Merda si impongono con una delle proposte più viscerali, una vera e propria esplosione di disagio vissuto in prima persona e non certo creato ad arte. Impossibile resistere alla tentazione di mettere sotto torchio i due “non necessari” portavoce del progetto.

Gli Hate & Merda non lasciano spazio alle identità dei musicisti coinvolti, affrontano il suono in maniera nichilista e intitolano il primo ep L’Anno Dell’Odio. Da cosa scaturisce tanta ostilità nei confronti del mondo?

UN1: Dall’ostilità ricevuta. Dall’indifferenza, dalle lamentele, dalle stupide fazioni di organizzazioni e pubblico, dalle porte che ti chiudono in faccia, dalle reazioni a ciò che fai e ciò che sei. Il senso di amarezza non poteva continuare; dunque era necessario aggredire, con un progetto dove il nostro animo sempre più buio e disperato ne uscisse trasfigurato in energia finalmente espressa.

UN2: A dire il vero è esattamente il contrario. Hate&Merda sono nati in risposta all’odio e allo sterco ricevuto dall’ambiente a noi circostante nell’arco di un preciso periodo, che avevamo sarcasticamente ribattezzato “l’anno dell’odio”. Firenze e i fiorentini medi, Santo Spirito, i gotici rivestiti, amicizie tradite, malelingue, guerre intestine nel giro musicale, aspetti del quotidiano che ci hanno nauseati e che abbiamo voluto rispedire al mittente alla nostra maniera. Paradossalmente, parafrasando lo slogan della label Toten Schwan, dovremmo ringraziare diverse persone per l’odio ricevuto. È stato il detonatore.

Parliamo dell’artwork del disco, da dove è presa la foto e chi è la persona raffigurata? Come mai chi cela il proprio volto poi sceglie di mettere in copertina proprio un primo piano?

UN1: È il volto di un nostro amico, che secondo noi raffigura alla perfezione il disagio e la malattia della nostra musica, e anche della nostra interiorità. Dare un volto, una connotazione alla tua musica non significa che si debba mostrare per forza il corpo di chi suona, con noi volutamente annullato e allo stesso tempo esaltato nel suo non mostrare il viso. I giochi di rimandi sono tanti, in primis del rispecchiarsi. Gli Hate & Merda si specchiano così, questo è il nostro volto, e noi mostriamo il volto degli altri, cioè il non averne uno. Ci carichiamo così del vuoto, lo conteniamo e lo espelliamo.

UN 2: Si potrebbero ricamare diverse storie sul perché ci mascheriamo. Mi torna in mente un vecchio discorso del sub-comandate Marcos secondo cui coprirsi il volto più che celare l’identità attira su di sé l’attenzione generale, perché improvvisamente vieni identificato come un pericolo. La realtà è che chi siamo non ha la minima importanza, nell’era del voyeurismo più estremo preferiamo annullare il concetto di identità e dare più peso all’idea. Per quanto riguarda la copertina del disco, è una fototessera di vent’anni fa di un nostro amico, e rende perfettamente l’idea del puro disagio che volevamo raccontare. Suo malgrado è finito per diventare il nostro ragazzo immagine.

Non riesco a non chiedervi della frase Eye Hate Goth (e del titolo Carne Gotica), solo un gioco di parole o c’è dell’altro?

UN1: Certo che c’è dell’altro. I gotici li associo a dormienti e anche un po’ falsi. Con alcuni ci abbiamo avuto a che fare in modo estremamente negativo. Un’ipotesi di copertina sarebbe stata la foto di un gotico spaurito manganellato a sangue in una via putrida. Ci piace l’idea di sconfortare i gotici in modo veritiero e non biecamente estetico. Vogliamo essere il loro peggiore incubo, e spero che non piaccia loro, non si sa mai, magari sono contenti?!

UN2: Abbiamo una spiccata antipatia per i gotici, soprattutto per la scena dark svizzera. È un modo come un altro per prenderli per il culo.

Il disco lascia una sorta di tristezza finale, quasi riuscisse a cambiare l’umore dell’ascoltatore e lo immergesse in una storia dai contorni angoscianti. Avete mai pensato di completare la vostra proposta con una parte video, possibilmente in bianco e nero?

UN1: Sì, il disco porta l’ascoltatore dal senso di rabbia estremo alla tristezza sempre più intima, all’annullamento. È un percorso di morte. Come se ti dicessimo che “ce la puoi fare” invece poi ti dimostriamo che non ce la farai mai. Non credo che abbiamo bisogno di una parte video per esprimere il nostro live, credo che tutto quello che c’è da dire sia ben dichiarato: semplice, aggressivo, sporco, senza nessun ricamo.

UN2: Il disco è effettivamente una parabola discendente, inizia energico e un pezzo dopo l’altro sembra perdere forze, energia e voglia di vivere, per sfociare in un finale dilatato e profondamente arreso. Se fa questo effetto significa che c’è qualcos’altro che arriva oltre la musica in sé, lo stato d’animo, in cui chiunque può ritrovarsi.

Da un punto di vista musicale appare difficile inquadrare la vostra proposta, vista la serie di input e atmosfere differenti che si respirano al suo interno. Soprattutto mi ha colpito la capacità di lavorare anche su momenti di calma apparente in cui la tensione sale poco a poco prima dell’esplosione finale. Voi come vi raccontereste?

UN1: Ci piacciono molto anche le sonorità ambientali, i drone, il noise, e lo facciamo anche con altri progetti che abbiamo. Per cui accade spontaneamente, senza dirci una parola in fase di composizione, che alcuni brani abbiano delle parti di stasi. Credo che rendere in musica la tensione significhi provarla davvero. E per me così è. Ansia, nervosismo, rabbia, odio, sono le sensazioni negative presenti costantemente nella mia mente. Certo ne ho anche di positive, ma ho bisogno di esorcizzare il male e il dolore, e ci riesco attraverso la musica.

UN2: Suoniamo entrambi da diversi anni, ormai, e insieme soltanto da un anno, abbiamo background diversi ma a tratti convergenti. Era chiaro fin dal principio che questo progetto sarebbe stato senza fronzoli, diretto, rabbioso e ruvido, ma nessuna di queste parole esclude a priori atmosfere più calme e ambient. Se ci pensi, non c’è niente di più teso di una silenziosa notte insonne.

Hate & Merda - foto by Werner Swan

Come è nata l’idea di inserire un campione dal finale de “La Notte” di Michelangelo Antonioni e che cosa vi ha colpito?

UN1: Semplicemente volevamo che parlassero due persone diverse da noi ma che condividessero la nostra tragicità, e che la spiegassero non al livello testuale ma discorsivo; le loro dichiarazioni sono perfette nel loro essere sconsolate, dure e annichilenti. Inoltre le timbriche delle prese vocali dei film di quel periodo sono stupende, e alchemicamente il campione usato era l’ingrediente necessario per fare si che “Pietà” diventasse un pezzo completo.

UN2: Il monologo finale di quel film è straziante nella sua assoluta semplicità. Ha reso l’atmosfera di “Pietà” ancora più desolata. Più che una parte cantata cercavamo qualcosa che sottolineasse il senso di “assenza” che volevamo descrivere. Quel dialogo dice quello che non volevamo dire.

Un altro testo che mi ha molto colpito è quello di “L’eternità Di Un’Estate Terribile”. Vi va di raccontarci come è nato e da cosa ha preso spunto? Dove si trova Via Diamante?

UN1: Diamante Street è la via sotto casa di ognuno di noi, la via che acquista pesantezza quando sei completamente abbattuto dall’aridità della vita, dal caldo che trasuda dal cemento, dalla spettralità che improvvisamente si mostra a te quando la tua situazione psicologica è al minimo storico. Il suo nome è la tua illusione.

UN2: Diamante Street è il pezzo di strada prima dell’ultimo stadio di disperazione, una terra di nessuno e insieme di chiunque. La sera del nostro primo concerto abbiamo completamente improvvisato questo pezzo, testo e musica. È stato come piantare un’accetta in fronte a chi ci stava ascoltando. È uscito tutto da sé e non l’abbiamo mai cambiato.

Quanto delle vostre vite e della vostra esperienza personale finisce dentro Hate & Merda?

UN1: Ci finisce tutto, anima e corpo, eccetto la faccia.

UN2: Mi piace definire Hate & Merda come uno snuff movie, è tutto assolutamente vero e vissuto. La realtà, nel bene e nel male, è sempre più significativa dell’immaginazione. Oggigiorno si sta perdendo sempre più il contatto con la vita vera, ci si nasconde dietro social network, foto ritoccate e rapporti virtuali. Preferisco sudore, dolore fisico, contatto, lividi e parole che possiedono un suono.

Chi sono i vostri compagni di merenda? Vi sentite legati a qualche nome in particolare, anche se so che vi definite schifati dalle scene in generale?

UN1: I nostri compagni di merenda sono tutte le persone che incontriamo sulla via e con le quali abbiamo un rapporto umano, non solo musicale. Insomma sono i disagiati simili a noi.

UN2: Preferisco sottolineare alcuni elementi locali a cui non siamo legati: mafie varie, musicisti in giacche vintage, quelli che ‘non c’è mai niente di interessante’ e ‘il rock è morto’, La Tempesta, From Scratch, Rock Contest e Emergenza Festival.

Chiudiamo con del buonismo spicciolo, fate un augurio ai nostri lettori e invitateli a prendere un tè da voi…

UN1: Grazie per l’intervista Michele; dai su, venite a prendere un tè da noi, mica non vi fidate?

UN2: Non c’è nessun tè, c’è soltanto pietà.

Hate & Merda - foto by HM


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