Vincenzo Natali torna alla regia con Haunter, che è una specie di strudel ripieno di altri film horror, e addirittura di commedia.
La resurrezione dopo Splice.
Forse.
Diciamo che i ricordi altri che il film suscita sono troppo forti e troppo attuali perché il gioco di citazioni possa riuscire in pieno. Perché voglio sperare siano citazioni.
Cosa succede in Haunter (per la cui recensione vi rimando al Bradipo, non avendo altro da aggiungere)? In breve, una ragazzina che vive insieme a genitori e fratellino in una casa isolata dal mondo a causa di una fitta nebbia, se la deve vedere con un’entità malvagia.
E già questo riassunto, se masticate cinema, vi farà venire in mente almeno quattro o cinque titoli.
La ragazzina è Abigail Breslin, ormai arrivata a diciassette anni, che nel lontano 2002 era la bambina che in Signs aveva quello strano tic dell’acqua contaminata, e disseminava la casa di Mel Gibson di bicchieri colmi, per poi dare a Joaquin Phoenix, che di Mel Gibson interpretava il fratello, il mezzo per sconfiggere quei buffi alieni allergici all’acqua e venuti a occupare un pianeta per il 70% ricoperto proprio di acqua.
D’altronde, dicevano in un altro film celebre, “un’isola e un’isola solo se la guardi dal mare”. Ma non divaghiamo.
Abigail Breslin con Mel Gibson e M. Night Shyamalan sul set di Signs (2002)
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Guardavo Haunter e pur trovandolo uno strudel, mi piaceva. Sarebbe stato perfetto se l’avessero girato nel 2002, avendo per protagonista sempre Abigail Breslin.
Perché in effetti, intreccio e realizzazione a parte, un elemento chiave mi fa propendere per l’ipotesi (non verificata, in quanto non ho trovato informazioni a riguardo) che la sceneggiatura in realtà fosse stata concepita come una fiaba nera, con una protagonista bambina. E che poi, per le solite ragioni di cazzimme vario, abbiano optato per un’attrice adolescente, caso mai i genitori si fossero impressionati a guardare certe cose e avessero scassato con class action e altre delicatezze del genere legal-thriller.
Un discorso simile si verificò in Suspiria di Argento, che voleva protagoniste bambine e al quale vennero invece date attrici adulte, causa leggi tedesche severissime.
E Argento, per reazione, siccome era ancora un regista, chiese a Giuseppe Bassan (autore della favolosa scenografia) di alzare le maniglie delle porte, di modo che le attrici, aprendole, ne risultassero in prospettiva piccole come bambine.
Haunter mi dà la stessa impressione. Per colpa di Pierino e il Lupo. Opera di Prokofiev, composta nel 1936 in occasione del rientro in patria, l’Unione Sovietica, dell’autore.
Pierino e il Lupo, il cui inizio si ode più e più volte, suonato dalla stessa Abigail col flauto (non so se sia proprio lei, ma l’esecuzione mediocre è perfetta per una praticante di flauto).
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Ma non solo la musica in sé.
Guardando alla storia di Pierino e il Lupo, impossibile non notare analogie con la trama di Haunter che, d’accordo, si richiama a tutta quella serie di film, ma soprattutto a Pierino, che è un bambino coraggioso che un giorno decide di cacciare il Lupo. Il nonno naturalmente considera questa impresa una follia e rinchiude Pierino nel giardino di casa. Giardino dal quale Pierino non può uscire, perché il cancello è stato chiuso, ma dal quale egli può osservare ciò che succede sulle rive del vicino laghetto, dove i suoi tre amici animali, l’Uccellino, l’Anatra e il Gatto, se la vedono brutta quando arriva il Lupo. L’Anatra finisce addirittura nella pancia del lupacchiotto.
Pierino non sta a guardare e riuscito a liberarsi prende una corda, la lega alla coda del Lupo e fissa l’altra estremità al ramo di un albero. Quando arrivano i cacciatori (avvertiti dall’Uccellino, il famoso Uccellino che porta le notizie) trovano il Lupo intrappolato e sconfitto e, insieme a Pierino e al nonno, rientrano tutti in paese a festeggiare, compresa l’Anatra, trovata intera nella pancia del Lupo, che si era dimenticato di masticarla.
Abigail Breslin in Haunter (2013)
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Abigail Breslin è intrappolata in un luogo, la propria casa, per buona parte del film svolge il ruolo di spettatrice (poco attiva) degli eventi (i giorni che si ripetono tutti uguali e/o le strane apparizioni) e nella seconda parte diventa cacciatrice dell’entità che l’ha intrappolata, che è malvagia e temuta proprio come il Lupo.
Proprio come Pierino, prima della resa dei conti, assiste alle imprese del Lupo, ne scopre il passato di cattiverie e dopo lo intrappola, sconfiggendolo con l’ausilio di altre vittime, una sorta di cloni del suo personaggio. Tutte uguali perché il Lupo è un serial killer e, in quanto tale, uccide sempre lo stesso tipo di vittime. Ma non solo uguali, per certi versi come l’Anatra, le vittime non possono essere mangiate, vengono ritrovate integre, perché nell’altrove si tratta solo di energie e il tormento è psicologico, più che fisico.
Tutto l’impianto scenico, volutamente irrealista, la mancanza di contenuti splatter e l’assenza del sangue mi induce a ritenere che questo film sia stato vittima di forzature. Probabilmente anche a causa di un studio del marketing circa la spendibilità della protagonista, che divenuta da bambina un’adolescente, apre il film a una considerevole fetta di pubblico; piuttosto che limitare il tutto a una attrice bambina per un film la cui portata, presunzione e il cui tema, in tal caso, avrebbero relegato il medesimo a una dimensione d’autore, a un pubblico adulto, e a un cinema non proprio commerciale, indipendente, come quello degli esordi di Vincenzo Natali: il buon, vecchio Cube, film invecchiato più che dignitosamente.
Staremo a vedere.