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Benjamin Christensen nel 1922 era già un regista affermato, reduce da diversi importanti risultati raggiunti sia in patria (Christensen era nato il 28 settembre 1879 a Viborg, in Danimarca) sia all’estero. Le sue opere, prima fra tutte “Blind Justice” del 1915, erano già considerate all’avanguardia per l’epoca, sia per i contenuti sia per le tecniche di regia, ma fu con “Häxan” che Christensen riuscì a realizzare il suo vero capolavoro, quello che lo rese immortale.Il mio personale incontro con Häxan (termine svedese che significa “la strega”) ha avuto luogo, come capita spesso, abbastanza casualmente. Qualche tempo fa mi aggiravo tra le innumerevoli proposte di una libreria inglese quando mi capitò tra le mani un libricino dall’affascinante titolo di “Witchcraft through the ages” (La stregoneria attraverso i secoli), di tale Jack Stevenson, pubblicato dalla FAB Press per la collana “Cinema Classic Collection”. Il sottotitolo, ancora più del titolo stesso, mi attirò come una calamita: “The Story of Häxan, the world’s strangest film and the man who made it” (La storia di Häxan, il film più strano del mondo, e dell’uomo che lo realizzò).
All’interno diverse immagini in bianco e nero accompagnavano il testo: scene apocalittiche di gente sottoposta a torture medievali. Mi stavo chiedendo di cosa si trattasse. Verità o fantasia? Acquistai il libro ripromettendomi di trovare il tempo per capirne di più in seguito. Cosa che naturalmente feci. Verità o fantasia, dicevo? Beh, forse entrambe le cose. Si tratta evidentemente della cronaca della realizzazione di un film: un film molto particolare, che inizia come un documentario, mostrando antiche incisioni artistiche che illustrano come i demoni siano stati parte della vita dell'uomo, e continua come un film drammatico a tinte horror: ci sono demoni di ogni specie, ci sono streghe che preparano pozioni magiche e celebrano, ci sono monaci inquisitori con i loro strumenti di tortura.
Avevo già iniziato a leggerlo me, mano a mano che precedevo nella scoperta di Häxan, mi rendevo conto che quello che mi mancava era il film stesso, e che non avrei potuto comprendere a fondo quello che stavo leggendo se prima non avessi assistito allo spettacolo che Benjamin Christensen aveva mandato in scena a Stoccolma, in anteprima assoluta, il 18 settembre di 90 anni fa. Sorprendentemente, trovare il film non fu affatto difficile. Ne consiglio ovviamente l’ottima edizione realizzata su DVD dalla Criterion ma, se proprio non riuscite a trattenere la vostra curiosità, lo potete trovare integralmente anche su YouTube. E pensare che Häxan rischiò ad un certo punto di essere perduto per sempre (destino peraltro comune a tanti lavori realizzati quel periodo): dopo poche proiezioni venne archiviato da qualche parte e dimenticato. A differenza di oggi, dove grazie alla tecnologia, alle copie digitali, a internet, qualunque opera viene preservata, a quei tempi la distruzione di un’unica pellicola da 35mm significava la sua perdita definitiva. La conservazione era altresì difficoltosa: dopo diversi anni di esposizione agli agenti atmosferici, la celluloide diventava fragile come vetro. Il capolavoro di Christensen ebbe invece miglior fortuna di tanti altri capolavori oggi dimenticati: fu cercato instancabilmente per anni senza successo ma alla fine fu ritrovato in fondo ad un magazzino di Stoccolma, perfettamente conservato in una scatola metallica dove attendeva i suoi scopritori immerso in una soluzione a base di glicerina.
L’idea di mettersi a guardare oggi un film muto, girato in bianco e nero negli anni 20 (perché è di questo che stiamo parlando) potrebbe far sorridere. L’idea che un film del genere possa avere generato una reazione ai limiti dell’isteria di massa (ottomila cattolici manifestarono in piazza a Londra nel 1926 chiedendo la distruzione della pellicola) potrebbe lasciare increduli. Ma la visione del film è ancora oggi un’esperienza forte, difficile da portare a termine, e che lascia perfettamente intuire come possa essere apparso agli occhi ingenui ed impreparati dei nostri nonni e bisnonni. Alcune scene sono davvero disturbanti come il sacrificio di un neonato portato ad un sabba per essere divorato, o la famosa scena del bacio sul sedere del Maligno praticato dalle streghe in una danza orgiastica.
L’idea originale di Häxan nacque già molto tempo prima, precisamente nel 1914, quando Benjamin Christensen, in visita a Berlino, acquistò su una bancarella il famigerato “Malleus Maleficarum der Hexenhammer” (il martello della strega), senza dubbio il più sanguinario manuale di caccia alla streghe che sia mai apparso su questa terra. Scritto nel 1487 dai più crudeli inquisitori della storia, due monaci domenicani che rispondevano al nome di James Sprenger e Heinrich Kramer, il “Malleus” divenne ben presto il libro più conosciuto del mondo, secondo solo alla Bibbia, e contribuì a mandare sul rogo qualcosa come nove milioni di presunte streghe, nello spazio di tre secoli. Qualche tempo dopo, a Parigi, Christensen mise le mani su una copia de “La Sorcière” di Jules Michelet, un testo sulla stregoneria e sul fenomeno delle persecuzioni. Fu da queste basi che l’autore di Häxan iniziò un percorso che lo avrebbe condotto attraverso uno degli aspetti più bui della storia: il Medioevo e l’Inquisizione. Quello che sarebbe divenuto il soggetto del suo nuovo film era ormai evidente.
Häxan è una sorta di trattato sulla stregoneria, dagli albori del genere umano ai giorni nostri, soffermandosi in particolar modo sul periodo medioevale, dove la storia è stata testimone delle più indicibili nefandezze, perpetrate in nome della superstizione. Paura e violenza sono sensazioni nitide, che non rimangono aderenti al film stesso, ma che bucano il video e trascinano lo spettatore in una spirale di angoscia che non terminerà con i titoli di coda.
L’ingrediente che ha fatto di Häxan un lavoro immortale non è però solo l’estrema crudezza delle immagini o la musica di accompagnamento. Tale ingrediente, come lo ha voluto definire lo stesso Benjamin Christensen, si chiama “hysteria”. Ecco… l’hysteria. Mai un termine avrebbe potuto calzare più a pennello. Cos’è l’hysteria? Innanzitutto è lo stato d’animo più rappresentativo di quei tempi bui. Non era solo superstizione. Era proprio una follia collettiva, qualcosa che ancora oggi impregna i libri, i dipinti, tutto ciò che è sopravvissuto al tempo ed è giunto fino a noi. Ma l’hysteria era anche la parola d’ordine che il nostro regista usava sul set. Hysteria era qualcosa che gli attori avrebbero dovuto cercare di realizzare e di trasmettere al pubblico. Ma non era facile per nessuno. Gli attori potevano trasmettere paura, disperazione, dramma, terrore, ma l’hysteria è un concetto molto più sottile. E’ qualcosa di cui nessuno si rende conto e che nemmeno i più abili riuscivano a riprodurre così come era l’idea nella mente di Christensen.
Questo sarebbe stato un problema insormontabile per tutti… tranne naturalmente che per quel geniaccio di Benjamin Christensen. Innanzitutto le riprese vennero fatte esclusivamente nelle ore notturne. Ciò avrebbe contribuito a infondere negli attori un vago senso di inquietudine, base fondamentale per generare, con alcuni altri semplici passaggi, l’hysteria. Tra l’altro le riprese in notturna portarono un secondo, involontario vantaggio: avrebbe generato attorno alla produzione del film un alone di mistero e di curiosità. Un po’ quello che verrà fatto decenni dopo, con una furba operazione di marketing, prima del lancio “The Blair Witch Project” (giusto per restare in tema).
Girare in notturna fu, come detto, solo una parte del piano. La seconda parte era provocare isteria pura nei presenti. Gli attori venivamo mandati al trucco e poi li si lasciava aspettare per ore con un pesante e scomodo cerone in faccia, per non parlare dei costumi spesso ingombranti. Si iniziavano quindi le riprese, ma le si interrompeva continuamente con mille scuse. Quindi si ricominciava daccapo. Poi il regista si eclissava per ore, lasciando i presenti a domandarsi dove fosse finito. Poi si ricominciava, ci si interrompeva e si ricominciava. Tutto questo senza girare realmente un solo metro di pellicola. Christensen attendeva solo il momento buono, verso l’alba, per girare la scena che poi sarebbe diventata davvero parte del film. A quell’ora tutti gli attori sarebbero stati perfetti: ben cotti e isterici al punto giusto.
Ma tutto questo ancora non bastava per mettere a punto colei che avrebbe dovuto recitare la parte della protagonista. Al nostro registra non bastava un’attrice resa isterica con degli abili trucchi. La protagonista avrebbe DAVVERO dovuto essere una vecchia strega isterica. Così, mentre passaggiava per il famoso Tivoli Garden di Copenaghen, rimuginando su una soluzione che pareva non esistere, Benjamin Christensen fece il casuale incontro che gli cambiò la vita. Era una vecchietta vestita di stracci, unta e bisunta, intenta a vendere violette seduta in un angolo, tra l’indifferenza generale. Il suo nome era Maren Pedersen 78 anni, una vita di stenti alle spalle. Christensen le si avvicinò e cominciò tranquillamente a parlarle del suo progetto. Maren lo ascoltava senza capire granché. Quello che però le era perfettamente chiaro era l’orrore di quello che quel distinto signore le stava prospettando. Maren era una devota credente e certe blasfemie non la lasciarono indifferente. Tuttavia l’aspetto e i modi gentili del suo interlocutore, oltre ovviamente al tornaconto economico che le si stava prospettando, le fecero rapidamente cambiare idea e, pur non capendo esattamente quello che avrebbe dovuto fare, accettò infine la proposta.
Il fatto che Maren fosse molto religiosa contribuì in positivo alla riuscita dell’opera. Maren credeva davvero nel diavolo. Raccontava di averlo incontrato diverse volte nella sua vita. A volte, ai piedi del letto, il diavolo la fissava negli occhi, tanto che doveva coprirsi la testa con il lenzuolo e pregare per poter scacciare la terrificante apparizione. Maren inoltre credeva fermamente nei miti e nelle leggende medievali. Sembrava come se il tempo in lei si fosse fermato a quell’epoca, come se un pezzo di medioevo fosse giunto fino a noi attraverso di lei.
Il gioco era fatto. Ma il lato sadico di Christensen non era ancora soddisfatto, così che alla povera Maren, durante le riprese, vennero legate delle corde attorno alle caviglie. In questo modo il regista, che teneva saldamente in mano i capi opposti delle corde, poteva far muovere a suo piacimento la povera donna davanti alla macchina da presa così come un burattinaio muove le sue marionette. Niente male, eh? Dite che Christensen era un bastardo? Quale regista non lo è? E’ la legge della settima arte. Se vuoi realizzare qualcosa che sia ricordato dai posteri non basta una buona sceneggiatura, non basta il talento. Devi fare tutto ciò che è in tuo potere e ancora di più.Di Häxan all’epoca dissero che era venticinque anni avanti rispetto il suo tempo. Oggi possiamo dire che è un film senza tempo. Ci resta una testimonianza di come è stato possibile, in un’epoca così lontana, realizzare un opera che ha indubbiamente contribuito a fare del cinema una forma d’arte come quella che oggi conosciamo. E’ anche un esempio di come bianco, nero e muto non equivale a dire insulso, piatto e monotono. Lo consiglio caldamente, sempre che abbiate il coraggio di addentrarvi in qualcosa di estremamente weird.
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