Ogni Festival che si rispetti ha il suo blogger-reporter: lo Hay Literature Festival 2012 di Beirut, che ha avuto inizio ieri, ha come suo blogger lo scrittore e giornalista anglo-siriano Robin Yassin-Kassab, autore del romanzo The Road from Damascus (trad. it. Il traditore, ed. Il Saggiatore, 2008),ed editorialista del sito web PULSE, che di recente Le Monde Diplomatique ha annoverato tra i cinque siti Internet preferiti dalla redazione. Yassin-Kassab interverrà al Festival oggi pomeriggio per parlare del rapporto tra guerra, scrittura e giornalismo.
In questo suo primo articolo sul Festival, che ho ripreso dal sito di LITERATURE ACROSS FRONTIERS e tradotto dall’originale inglese, lo scrittore racconta parla del mosaico libanese, della Green Line ai tempi della guerra civile e della Siria, che, divisa tra oppositori e simpatizzanti del regime di al-Assad, ancora oggi come in passato è il metro per misurare la vita politica e sociale del Libano…
Buona lettura!
Linee che dividono
Giorno 1
Sull’aereo in partenza da Heathrow mi sono seduto accanto ad una signora armena. Nata ad Aleppo, la città più cosmopolita della Siria, viveva nel New Jersey da anni e stava volando in Libano in occasione del matrimonio di una nipote. Si sarebbe fermata una settimana. Le chiesi perchè non rimanesse più a lungo, d’altronde il viaggio dall’America era piuttosto lungo. Mi rispose: «Perchè no? Parenti e politica: due buoni motivi per non rimanere troppo in Medio Oriente». Già, la politica, che in genere tende a risucchiare i parenti, soprattutto se uno è armeno o palestinese, o qualsiasi altra varietà di libanese.
Sull’aereo abbiamo parlato della sorella di sua nonna, una delle vittime del genocidio degli Armeni in Turchia del 1915, quando circa un milione – un milione e mezzo di persone furono uccise, durante i massacri o durante le deportazioni verso quell’inferno di caldo che è il deserto siriano. Gli Armeni lo chiamano “The Great Crime” (il grande crimine).
La sorella della nonna, al tempo poco più che una bambina, sopravvisse alla deportazione ma venne separata dalla sua famiglia. Finì in un posto poco fuori Mosul, nell’Iraq del Nord, dove sposò un beduino (“un uomo in una tenda”, mi ha detto la donna armena). Dimenticò la sua lingua ma ricordò sempre il suo nome e la sua identità armena. Ogni volta che suo marito si recava in città, chiedeva alla gente di fargli sapere se mai avessero scorto un armeno. Trascorsero molti anni e alla fine un armeno arrivò davvero e venne indirizzato alla tenda. La bambina perduta alla fine riprese i contatti con il resto della sua famiglia e passò un mese con loro a Beirut, per poi alla fine tornarsene alla tenda e alla sua vita beduina. La città non faceva per lei.
Questa storia ha un finale relativamente lieto. Le grotte della Siria orientale sono ancora piene di ossa armene.
La linea della costa orientale del Mediterraneo si intravede pallida dall’oblò: palazzoni scintillanti, baraccopoli fronte mare, spoglie montagne di dietro. L’aeroporto (di Beirut, NdT) deve il suo nome a Rafiq Hariri, il miliardario primo ministro assassinato nel giorno di San Valentino del 2005 dai siriani, o idagli sraeliani o da wahhabiti nichilisti, a seconda di come la pensiate. All’atterraggio, il sole rosseggiava al tramonto ed è stato subito rimpiazzato da una luna piena. Una brezza di aria calda ci è venuta incontro incontro al parcheggio dell’aeroporto, come un abbraccio d’amore dopo la deprimente estate inglese.
L’albergo Mayflower sembra essere diventato il punto di ritrovo dei giornalisti: si trova ad al-Hamra, una zona di librerie e caffè oggi fatiscente ma che un tempo dava riparo ad intellettuali, spie e poeti provenienti da tutto il mondo arabo. Beirut sarà anche stata violenta e caotica, ma l’assenza di ordine era sinonimo anche di un certo tipo di libertà. Non c’era un’autorità centrale a censurare libri e quotidiani, né un una polizia segreta centralizzata che intimidisse gli scrittori. Nizar Qabbani (il famoso poeta siriano) viveva qui quando era sposato con la moglie irachena, Bilqis, e scriveva su di lei, su Beirut e sulla guerra. Bilqis rimase uccisa durante un attacco all’ambasciata irachena dove lavorava.
Al-Hamra (che significa “rossa”) si trova in quella parte di Beirut un tempo conosciuta come Beirut Ovest. Durante la guerra civile questa parte della città era controllata dall’alleanza musulmano-palestinese-drusa-di sinistra, ed era separata dalla zona Est, sotto il controllo dei cristiani maroniti, da una zona franca conosciuta come la Green Line (o Linea Verde, NdT).
Un annuncio accanto al mio letto recita che è severamente vietato fumare il narghilè in camera. Così mi sono astenuto dal fumare e ho acceso la televisione: BBC, CNN e molti canali libanesi di intrattenimento. Non c’era al-Jazeera. Mi sono messo quindi a cercare al-Arabiya, il secondo canale di notizie più importante nel mondo arabo, convinto che lo avrei trovato. Ma il canale chiamato al-Arabiya in effetti era invece al-Dunya, un canale di propaganda privato di proprietà del regime siriano. Questo mi ha fatto sospettare che il proprietario dell’albergo fosse un simpatizzante del regime siriano. Quelli pro-regime disprezzano al-Jazeera (di proprietà del Qatar) e al-Arabiya (che è saudita) per le notizie che danno sulla rivoluzione siriana. Al-Dunya è arrivata a sostenere che le scene di terrore e distruzione su Homs, Idlib e Deraa, mandate in onda da questi canali, in realtà non erano state riprese in Siria, ma da set già preparati e misteriosamente molto accurati (buone notizie quindi per gli esiliati siriani disoccupati: c’è un sacco di lavoro nel Golfo come comparse da “rivoluzionari”).
La Siria è la nuova linea verde che divide il Libano: molti sunniti si oppongono al regime di Assad; molti sciiti invece lo sostengono. Cristiani e drusi sono spaccati. La sinistra è quasi scomparsa, e quel poco che c’è, è diviso al suo interno. Le tensioni hanno portato a conflitti a fuoco a Tripoli, una città del nord in cui convivono sunniti ed alawiti (molti alawiti sia in Siria sia in Libano sostengono il regime alawita di al-Assad), e a Beirut.
Ma questa mattina il sole splende e le persone sorridono. Nell’albergo soggiornano scrittori che vengono da Libano, Pakistan, Croazia e dalle Filippine. La versione beirutina dello Hay Literature Festival sta per cominciare. Ed io ho intenzione di andare a nuotare…
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