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Headhunters (2011)

Creato il 27 marzo 2012 da Elgraeco @HellGraeco

Headhunters (2011)

Comincio ringraziando Hot per la segnalazione.
Cinema europeo. Per la precisione, una produzione tedesco-norvegese in grado di soddisfare qualsiasi voglia di snobismo (film sconosciuto ai più), ma anche no: Hodejegerne, per gli amici Headhunters, è davvero un buon film. Che sia europeo non stupisce, ancor più nordico. Insieme agli australiani, dal nord Europa hanno davvero qualcosa da dire. E lo fanno, senza remore, senza complessi di inferiorità o invidie assortite per l’oltreoceano.
Il thriller, col gusto sopraffino per la commedia degli equivoci, le tessere del mosaico della trama che si incastrano alla perfezione e, davvero apprezzato, ogni singolo dubbio che si insinua nella mente dello spettatore critico, alla fine, viene sciolto. In pratica, questo film non ha punti deboli, se non il gusto del singolo fruitore. Sì, quello è imprescindibile.
È raro che faccia uno sbrodolamento del genere nelle prime righe di una recensione, ma stavolta è realtà oggettiva. Headhunters, tratto da un romanzo di Jo Nesbo, è stato realizzato con perizia, evitando tempi morti, permettendosi anche sentimenti nobili e contaminazioni assortite, a tinte pulp soprattutto, e tuttavia restando fedele allo scopo: intrattenere, senza smaccate parentesi autoriali. Lo stile del regista, sapete, o la mancanza di esso.
Quindi regista e produzione al servizio della storia. Forse. O forse soltanto convergenza felice. Non perdiamocelo, in ogni caso.
Il risultato è intrigante. Non da panegirico allucinato, ma è impossibile non ammirare il lavoro di cesello.
Certo, ci si deve abituare ai paesaggi del nord, agli attori del nord, con la loro pelle pallida, gli occhi cerulei; il più noto, tra essi, è Nikolaj Coster-Waldau, più familiare come Jaime Lannister.
La fotografia è lattea. Paesaggi naturali, ville faraoniche e quadri preziosi. Anche buchi nell’acqua, coi cerchi concentrici che paiono usciti da un quadro di Munch, paragone non azzardato, credetemi. C’è di tutto, servito in salsa regale.

Headhunters (2011)

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L’idea: Roger Brown (Aksel Hennie) è un uomo basso, 168 cm. Per compensare è ambizioso e s’è costruito, letteralmente, una vita superiore a molti altri. Ha un moglie altissima, sui 180 cm, una villa lussuosa e una carriera invidiabile, fa il cacciatore di teste (individua i talenti da assumere) e, a completamento, vive al di sopra dei suoi mezzi. Per riuscire a pagare tutto il lusso col quale si circonda ha anche un secondo lavoro: il topo d’appartamento. Specializzazione: quadri preziosi. Che egli sostituisce con copie, e rivende al mercato nero.
La regia di Morten Tyldum, supportata dalla voce narrante, ricorda quella secca e pulita di American Psycho. Sembra, all’inizio, di avere a che fare con una sorta di riedizione, pur essendo priva della componente psicotico-sadica del corrispettivo americano. Ma non è così, l’intreccio si estende dal microcosmo dei furti di opere d’arte per divenire sospetto di tradimento coniugale (come in True Lies) e addirittura intrigo a base di spionaggio industrale, fino a quando non comincia a bagnarsi di sangue, e concedersi una serie di scene di violenza assortita tanto realistica quanto opportuna.

Headhunters (2011)

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Da notare: l’immersione, completa, in una latrina colma di letame. Se riuscite a non vomitare, la scena è tensiva, schifosa, allucinante, grossolana. Ma, quando capita, si è ancora nel campo della commedia.
La lotta con un pitbull.
Il travestimento di uno dei personaggi, da damerino a mothafucka sfregiato, completamente rasato, pieno di tagli grondanti sangue.
Il merito è che si ride, ci si appassiona, ci si interessa alle possibili svolte dell’intreccio, venendo (almeno questo è ciò che sembra, da una prima visione) costantemente sorpassati e spiazzati dal film.
Come dicevo prima, una trama a incastro efficace come poche. Che si permette il lusso di sfruttare personaggi tipo, due gemelli alti e grassi come poliziotti, un commissario accessorio, un antagonista più figo e in gamba del protagonista che, senza paura, si rende odioso in molte occasioni, ma che si guadagna la benevolenza. Tendenza odierna, simpatizzare col negativo, farlo proprio, esorcizzarlo.

Headhunters (2011)

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La giustizia al cinema assume sempre più contorni rarefatti, che sanno di relativismo. L’archetipo del personaggio ingiusto, che non paga per le sue colpe e che trova espiazione nell’inganno gentile, è figura sempre più attuale. Certo, non si pretende il cavaliere dalla bianca armatura e in fondo, in un mare di ultra-violenza, il pentimento è considerato presa d’atto della propria colpa, ma la realtà è un’altra, ovvero la spinta all’autoconservazione. Qualcuno mi correggerà, o forse no, ma noto che il cinema esalta sempre più il concetto di superstite, spesso a tinte fosche, che si redime con le proprie forze, inventando un modo per raddrizzare i torti, spesso anche personali. Personaggio affascinante, nuovo, forse anche pericoloso. Ma quanto faccia bene al godimento di un film, lo stiamo scoprendo soltanto adesso.
Consigliatissimo, se non avete il pelo sullo stomaco.

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