Adattamento cinematografico del romanzo In the Heart of the Sea, The Tragedy of Whaleship Essex (Nathaniel Philbrick, 2000) ad opera di Charles Leavitt, Rick Jaffa ed Amanda Silver (il primo è autore della sceneggiatura), Heart of the Sea- Le origini di Moby Dick si palesa alla visione come un’opera pregevole da un punto di vista visivo ed affabulante a livello narrativo, grazie alla consueta perizia del regista Ron Howard nell’avvallare un andamento decisamente classico, evidente anche nelle sequenze più spettacolari suffragate dall’apporto dell’effettistica digitale. Offre inoltre svariati punti di riflessione, ma, almeno ad avviso di chi scrive, è parzialmente orfano di un genuino afflato contenutistico riguardo le tematiche collegate alla “balena bianca”, quali, in primo luogo, il complesso rapporto uomo –Dio- natura, l’accettazione non passiva del proprio destino, la dualità propria dell’animo umano, l’affidamento sulla propria forza interiore, senza dimenticare la spasmodica volontà di ergersi, spinti tanto dal miraggio di un maggior profitto quanto dall’ambizione, oltre le Colonne d’Ercole del conoscibile, fino all’annichilimento di ogni ragione morale, sopraffatti da un istinto di sopravvivenza che ha ben poco del soffio divino.
Ben Whishaw
Tutti concetti presenti nella pellicola ma che, oltre a svilupparsi con rigida meccanicità, devono condividere il terreno sia con il suddetto tenore spettacolare, per quanto ben più “mite” rispetto alle correnti realizzazioni (con un 3D che rende bene nelle sequenze marinare, superfluo altrove) sia con un ulteriore tema che cerca spazio nell’iter narrativo, quello inerente la conflittualità tra due uomini dalla diversa estrazione sociale, il primo ufficiale Owen Chase (Chris Hemsworth), ambizioso e spavaldo “campagnolo” votato al mare visto come apportatore di buona rendita, nonché di possibili scalate sociali, e il capitano George Pollard (Benjamin Walker), tale per diritto di primogenitura, sul quale grava più che la smania di solcare gli oceani una manifesta protervia volta a dimostrare di essere all’altezza nel perseguire le tradizioni di famiglia, nonostante l’evidente inesperienza.
Heart of the Sea funziona piuttosto bene se visto come un tradizionale racconto d’avventure, tanto da lasciarmi la primaria sensazione, avvalorata dall’essere stato girato in sequenza e dalla fotografia di Anthony Dod Mantle la quale dona ad ogni immagine “la patina del tempo”, che sullo schermo venissero man mano sfogliate le pagine ingiallite di un vecchio libro, invitandomi alla sua lettura.
Brendan Gleeson
D’altronde, riprendendo quanto scritto ad inizio articolo, l’arte della narrazione appare sublimata dall’alternanza dei diversi piani temporali: la vicenda prende piede nel febbraio del 1850, quando lo scrittore Herman Melville (Ben Whishaw) si reca sul’isola di Nantucket, Massachusettes, per incontrare il locandiere Thomas Nickerson (Brendan Gleeson), col quale ha già avuto contatti epistolari. Disilluso e malmesso, Thomas nasconde un passato che si intuisce doloroso e di cui lo scrittore, in cerca d’ispirazione per il suo prossimo romanzo, intende venire a conoscenza, anche dietro pagamento di una consistente somma di denaro. La notte è lunga, quanto basta per tornare indietro negli anni, l’inverno del 1820, quando la baleniera Essex salpò dal porto dell’isola a caccia di balene, fonte all’epoca di varie materie prime, il prezioso olio combustibile in primo luogo, necessario per l’illuminazione; Thomas era un membro dell’equipaggio, giovane mozzo (interpretato da Tom Holland) ai comandi dell’arrogante capitano Pollard, novellino, e del primo ufficiale Chase, forte invece dell’esperienza accumulata dopo numerose spedizioni.
Chris Hemsworth
Una volta giunti in mare aperto, gli scontri tra i due si facevano sempre più violenti, in particolare nel fronteggiare un tremendo fortunale, ma si trovarono d’accordo una volta che, catturata già una preda ma non del tutto soddisfatti dal possibile profitto ricavabile, decidevano di spingersi al largo del Sud America, doppiando Capo Horn, per assicurarsi un carico ancora più ricco, nonostante un baleniere spagnolo intimasse loro di non recarsi in quelle acque, dove la sua nave era stata attaccata da un enorme capodoglio bianco, portando distruzione e morte. Giunti sul posto, fra tanti cetacei ecco palesarsi all’improvviso qualcosa di spaventoso e gigantesco, la paventata balena bianca, gigantesca, che rendeva ben presto i cacciatori prede e, una volta fatta naufragare la Essex, costringeva i sopravvissuti al cospetto dell’inconoscibile e dei propri limiti …
Howard, valente “regista artigiano”, capace di misurarsi nel corso della sua carriera con diversi generi cinematografici, sempre mantenendosi in equilibrio su di una fune tesa fra costante professionalità e presa di distanza da una dimensione propriamente autoriale, anche con Heart of the Sea ha confezionato un’opera capace di coniugare intrattenimento e coinvolgimento emotivo.
Benjamin Walker
Nel rispetto sia della sceneggiatura, sia delle singole interpretazioni attoriali (l’intero cast offre buone prove, senza gridare al miracolo) è riuscito ancora una volta a concedere il giusto spazio tanto al realismo quanto al senso del dramma, mancando però il bersaglio di un’autentica epicità, di cui il film è comunque soffuso senza che si renda però respiro vitale.
Risalta meravigliosamente la fluidità del racconto, con un ruolo fondamentale nel raccordare le sequenze offerto dall’ottimo montaggio (Michael Hill, Dan Hanley) ma in particolare la sua fisicità, con scene in mare aperto (o ciò che sullo schermo ne rende l’immagine) girate praticamente a filo d’acqua, portando noi spettatori a bordo della Essex, membri dell’equipaggio in procinto di sfidare i marosi, intenti a salvare la pelle così come il prezioso carico.
In tale contesto emerge in tutta la sua gravità il citato scontro fra Chase e Pollard, una competizione che li porterà all’estrema sfida al cospetto della morte ed offrirà quale ricompensa finale il rispetto nei confronti di se stessi e dei propri simili, come esseri umani essenzialmente, al di là del lignaggio, nobile o meno, di provenienza.
In conclusione Heart of the Sea risulta un film capace d’intrattenere e coinvolgere, il cui limite è rappresentato essenzialmente da un tentativo di compromesso fra classicità della messa in scena e resa moderna della spettacolarità, ma, in buona sostanza, può considerarsi genuina espressione di un cinema ancora puro, capace di suscitare emozioni dirette e sincere.