Recensione di Sabina Terziani
Un paesaggio inglese trasformato negli ultimi secoli dalla presenza delle fabbriche nelle conche, e delle case su per i fianchi e in cima ai rilievi, in cui oggi i confini tra zone produttive, residenziali e di consumo sono sbiaditi perché non c’è lavoro. Questo paesaggio è la heartland di Rob, il protagonista del romanzo (ma definirlo protagonista è attribuirgli un ruolo dai contorni netti, mentre lui è sì sguardo unificante eppure è insieme sfuggente, sfumato, spettatore), che alla fine di tutto, delle partite, delle elezioni, del libro, per smaltire la bevuta fa una passeggiata e arriva in cima a «Cinderheath Lane, prima della discesa verso la conca. Da lì si vedevano i lotti in tutta la loro estensione e oltre, le vecchie fabbriche e i negozi e la chiesa e la moschea, altri lotti di case popolari molto simili a loro e canali e autostrade e campi e edifici diroccati e le ultime ciminiere rimaste in piedi».
Heartland è il luogo del cuore, ma non è più conoscibile o forse non lo è mai stato. È un blocco percettivo non frammentato da virgole, e ci sta dentro tutto, riprendendo la citazione: «Aveva ripreso a pensare. Ai suoi parenti giù dal parrucchiere che forse finivano le paste, ridevano del rigore di Beckham e parlavano preoccupati di Michael. Pensava a Zubair nel suo studio, chissà se era il caso di chiamarlo subito oppure no. Pensava a Jasmine, a Glenn, a Lee, ai ragazzi di scuola, al fantasma di Adnan, a Yusuf Khan, a tutti, con la consapevolezza, dolorosa e consolante a un tempo, che tutte le cose che se ne vanno possono ritornare, prima o poi».
È il 7 giugno 2002. L’Inghilterra ha appena giocato contro l’Argentina, il temuto derby contro i musulmani è acqua passata, lo zio Jim ha vinto le elezioni, il mistero di Adnan è stato risolto, eppure è difficile parlare di vittorie o di sconfitte. Come tutti, Rob è felice per lo 0 a 0 dell’Inghilterra, ma ha bevuto troppo per goderne appieno; certo, è contento perché qualche settimana prima la sua squadra ha vinto contro il Cinderheath Muslim Community Fc, ma a bordo campo a festeggiare c’erano quei ceffi del BNP che gli fanno schifo e paura; i laburisti hanno vinto ancora una volta le elezioni locali, ma contenendo a malapena l’avanzata della destra xenofoba; finalmente Rob riceve notizie di Adnan, l’amico scomparso, ma è un mistero risolto a metà, perché dopotutto nessuno sa dov’è finito (lo sa il lettore ma non i personaggi a cui tocca vivere nel dubbio).
Il romanzo cresce accostando e incrociando le tessere di linee temporali diverse, alternando i punti di vista e le voci, ognuna portatrice della sua minuscola porzione di realtà, di consapevolezza. È Rob, giovane promessa del calcio, invecchiato, svuotato senza aver mai vissuto la pienezza del proprio talento, il prisma che assorbe e riflette le tante vite che compongono Heartland. C’è la vita di suo padre Tom, anche lui ex calciatore; ci sono le vicende dei ragazzini analfabeti di ritorno che Rob cerca faticosamente di motivare allo sforzo di leggere; la storia di Jasmine, la collega insegnante per cui prova attrazione, ma lei ama disperatamente un altro, proprio Adnan, l’amico perduto; le difficoltà di Stacey, la madre di Andre, ragazzino sfregiato, e della piccola Gemma, autistica; c’è Glenn, il fratello di Stacey, xenofobo e compagno di squadra di Rob; c’è lo zio Jim, consigliere laburista che scopre nel figlio Michael abissi di quotidiana cattiveria.
Come tutti, Michael si difende attaccando, ma senza assumersi la responsabilità delle proprie azioni. In un confronto tra genitori, insegnanti e ragazzini, Rob chiede ragione dell’esistenza della banda dei Woodies a uno dei teppisti, e il ragazzo, Mohammed, risponde: «Ci proteggiamo a vicenda. Quell’altro, Andre, come si chiama, non voleva diventare dei nostri. Comunque adesso lo è. Se non vuoi entrare nella banda devi pagare e lui non voleva, perciò gli abbiamo preso la bici. Poi qualcuno ha tirato fuori il coltello. Ci siamo spaventati.» Il preside non capisce e chiede: «Ma perché vi serve una banda, Mohammed? Da chi dovete difendervi?». Questa è una delle domande centrali del libro, a cui risponde il British National Party, prodotto della dissoluzione dei legami sociali che funge da coagulante del terrore del diverso, la squadra trasversale che gioca imponendo le proprie regole agli avversari.
Spina dorsale di Heartland è il contrasto tra la forma rigorosa della narrazione, scandita dai tempi e dalle regole del calcio, e la frammentarietà esplosa delle storie che si raccontano con un andirivieni incessante tra vari momenti del passato. La palla passa da un giocatore, da un punto di vista all’altro, e a volte, soprattutto all’inizio, il lettore fatica a seguirne la traiettoria. Ma è proprio nell’incertezza, nel dubbio del lettore – che riflette l’annaspare nel buio dei protagonisti – che risiede la potenza creativa del romanzo. Cartwright, infatti, non genera soltanto una storia, ma forgia un lettore che si pone domande scomode e a cui non si devono fornire risposte pacificanti. Come sostiene Walter Siti in Il realismo è l’impossibile, solo se il dubbio nasce nel lettore come reazione all’aver ottenuto dalla narrazione «qualcosa in più o in meno di quel che si aspetta, l’autore può infondergli quel senso di incertezza che la realtà produce».
Nota sull’autore
Anthony Cartwright è nato a Dudley nel 1973. Si è laureato in Letteratura inglese e americana alla University of East Anglia. Ha lavorato in fabbrica, in un impianto di inscatolamento carni, in diversi pub, al mercato di Old Spitalfields e per la metropolitana di Londra, poi è diventato insegnante. The Afterglow, suo romanzo d’esordio, è stato tra i vincitori del premio Betty Trask 2004. Nell’agosto 2012 è uscito il suo ultimo romanzo, How I Killed Margaret Thatcher. Elogiato a più riprese da autori come David Peace e Jonathan Coe, Cartwright si dichiara onorato di appartenere alla grande famiglia del realismo sociale inglese – in compagnia di autori come Alan Sillitoe, David Storey e Roddy Doyle –, ma il suo tributo maggiore lo versa all’impulso documentaristico di James Ellroy e alle vertigini stilistiche di Don DeLillo. Definisce Heartland il suo romanzo «più manifestamente politico» e confessa che scrivendolo ha imparato che «tutti i romanzi, per quanto realistici, sono sempre e comunque opere di fantasia».
Per approfondire:
Leggi la recensione di Michele Lupo su flanerì
Leggi la recensione di Marco Imarisio sul Corriere della Sera
Anthony Cartwright, Heartland
Traduzione di Daniele Petruccioli
66thand2nd, 2013
pp. 289, 17€