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A volte mi domando se la capacità di trovare la poesia nella tristezza (intesa come sofferenza e miseria) sia una dote o una difesa.
Mi domando se il cercare qualcosa di poetico in situazioni che "in realtà" (ma la realtà dove sta?) sono solo amare, tristi e forse poco poetiche, non sia una condanna a non voler vedere a non voler soffrire. O forse sono un patetico tentativo di elevare la propria sofferenza, di renderla più grandiosa di quanto in realtà non sia.
La sofferenza umana, sempre ed esclusivamente umana resta.
Forse non c'è grandezza nel dolore, se non quello della sopravvivenza, del poter e dover andare avanti, no matter what.
Ma poesia, proprio non so..
Forse chi legge troppo è condannato: sicuramente vede cose che a chi non legge sfuggono, ma mi domando se non aggiunga anche ciò che non c'è in situazioni che non lo meritano.
Un litigio, forse, non ha niente di poetico e di grandioso, tanto per fare un esempio. E cercare qualcosa di grandioso o appunto poetico, forse, è solo un modo per soffrire di meno, per non vedere, per non voler capire.
Non lo so.
L'unica cosa che so, e per certo, è che molto spesso vorrei essere un cane. Il mio cane.
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