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Heberto Padilla: “Fuera del juego”

Creato il 15 settembre 2013 da Patrizia Poli @tartina

fuera_del_juegoda CriticaLetteraria

di Patrizia Poli

Fuera del juegoHeberto PadillaTraduzione di Gordiano LupiEdizioni Il Fogliopp 15712,00“The knock at our door came around seven in the morning.” Così Cuza Malè racconta il momento dell’arresto del marito, il poeta cubano, di lingua castigliana, Heberto Padilla.Dopo che, nel 1968, la raccolta di poesie “Fuera del juego”, di Padilla, vinse  il premio UNEAC, il libro venne considerato controrivoluzionario e pubblicato con un’appendice che ne stigmatizzava il contenuto come anticastrista. Padilla fu arrestato nel 1971 e, per riottenere la libertà,  fu costretto ad apparire davanti al collegio degli scrittori e fare pubblica abiura di se stesso, dei suoi scritti, “confessando” supposti crimini suoi e della moglie contro la Rivoluzione. Così si esprimeva Padilla riguardo alla sua “autocritica”:

Il procedimento è stato ideato da Lenin per recuperare i rivoluzionari nelle file del partito comunista e perfezionato da Stalin come strumento per distruggere moralmente chi esprimeva posizioni critiche . Ho accettato di recitare l’autocritica per ottenere la libertà e per poter lasciare Cuba, che ormai era diventata una prigione.”


Molte personalità, fra le quali Jean Paul Sartre, Simone de Beauvoir, Susan Sontag, Mario Vargas Llosa, Federico Fellini, Alberto Moravia  – con alcune eccezioni illustri come Gabriel Garcia Marquez - firmarono una petizione per chiederne la liberazione.  L’affare Padilla segnò la fine del sostegno degli intellettuali di sinistra alla Rivoluzione Cubana, che aveva perso i suoi connotati libertari per trasformarsi in un regime autoritario, castrista e castrante.I versi di Padilla sono semplici, discorsivi ma solo in apparenza. Parlano di cose concrete, di vita di tutti i giorni, dell’irruzione della storia e della politica nel privato del cittadino che vorrebbe prescinderne ma non può.

Sono sempre stato fuori dal gioco, forse è la condizione di poeta che non permette di stare dentro, per noi non è possibile, siamo destinati a raccontare una spiacevole verità in faccia al tirannoUn poeta è bene non averlo intorno, è un triste personaggio che trova sempre da ridire, che non è mai contento, soprattutto non serve al potere.”

Come dice il traduttore (ed editore) Gordiano Lupi, “Padilla non è un dissidente ma un rivoluzionario che vuole continuare a pensare con la propria testa.”“Fuera del juego”  “è un canto di libertà”, “il simbolo della disillusione rivoluzionaria” (sempre Lupi).Padilla è stato parte sogno, vi ha creduto ma ha visto naufragare le aspettative di un mondo migliore, ha capito che quella che vedeva in atto non era più la “sua” rivoluzione, ha scritto versi “che fanno male al sogno”, che denunciano la violenza dietro la speranza diffusa dagli eroi.Intorno agli eroiGli eroiSempre vengono attesiPerché sono clandestiniE sconvolgono l’ordine delle cose.Appaiono un giornoAffaticati e rauchiNei carri da guerra, coperti dalla polvere del cammino,facendo rumore con gli stivali.Gli eroi non dialogano,ma progettano con emozionela vita affascinante del domani.Gli eroi ci dirigonoE ci pongono davanti allo stupore del mondo.Ci concedono perfinoLa loro parte di Immortali.LottanoCon la nostra solitudineE i nostri vituperi.Modificano a loro modo il terrore.E alla fine ci impongonoLa violenta speranza. La sua “colpa” è stataNon dare ascolto a chi diceva che esistono libri da non scrivere e soprattutto da non pubblicare, perché fanno male al sogno e soltanto dentro la rivoluzione può esserci libertà, ma per chi si chiama fuori non esistono diritti.”I poeti cubani non sognano piùI poeti cubani non sognano più(neppure di notte)Vanno a chiudere la porta per scrivere in solitudineQuando scricchiola, all’improvviso, il legno:il vento li spinge alla deriva;alcune mani li prendono per le spalle,li rovescianoli mettono di fronte ad altre facce(affondate nei pantani, bruciando nel napalm)e il mondo sopra le loro bocche scorree l’occhio è obbligato a vedere, a vedere, a vedere “Fuera del juego” è anche un inno d’amore alla patria, a Cuba, sempre portata nel cuore. “Cuba è la mia terra, la mia isola calda e selvaggia.” “Ho sempre vissuto a Cuba anche quando partivo.”Heberto Padilla: “Fuera del juego”Sempre ho vissuto a CubaIo vivo a Cuba. SempreHo vissuto a Cuba. Codesti anni di vagarePer il mondo dei quali tanto hanno parlato ,sono mie menzogne, mie falsificazioni.Perché io sempre sono stato a Cuba.Ed è certoche ci furono giorni della Rivoluzionenei quali l’Isola sarebbe potuta esplodere tra le onde;però negli aeroportie nei luoghi dove sono statosentii che mi chiamavanocon il mio nomee quando rispondevoio mi trovavo in questa spondasudandocamminando,in maniche di camicia,ebbro di vento e di fogliame,quando il sole e il mare si arrampicano sulle terrazzee cantano la loro alleluiaSopra a tutto, aleggia un potente senso di nostalgia, più di ogni altra considerazione umana, sociale e politica. Nostalgia che abbraccia ogni cosa: l’amore, il sesso, la patria, il sogno rivoluzionario, il ricordo di quartieri fatiscenti, di cartelloni slabbrati, di case diroccate eppure amate.Il ritornoTi sei risvegliato almeno mille voltecercando la casa dove i tuoi genitori ti proteggevano dal maltempo, cercandoil pozzo nero dove ascoltavi la ressadelle rane, le falene che il vento faceva volarea ogni istante.E adesso che è impossibileti metti a gridare nella stanza vuotaquando persino l’albero del campocanta meglio di te l’aria degli anni perduti.Eri già il personaggio che osserva, il rancoroso,preso, irrimediabile, per quel che vedie domani ti sarà tanto estraneo come oggi lo seia tutto quello che è accaduto senza che fossi capacedi comprenderlo,e il pozzo continuerà cantando pieno di ranee non potrai sentirleanche se spiccano salti davanti ai tuoi orecchi;e non solo le falene, ma il tuo stesso figlioha già cominciato a divorartie adesso lo stai guardando vestito con il tuo abito,pisciando dietro il cimitero, con la tua bocca,i tuoi occhi e tu come se niente fosse.
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