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Quando, nel 1927, la FIGC chiude le frontiere, i club italiani si ritrovano costretti a puntare esclusivamente sugli oriundi. Non essendoci mezzi attendibili per giudicare un calciatore attivo al di là dell’Atlantico, ci si affida a sedicenti intermediari: c’è chi pesca bene,chi male, e chi come l’Ambrosiana-Inter va sul sicuro. Nel 1931 arriva infatti all’ombra della Madonnina un famoso uruguaiano, trentadue anni, alto circa un metro e settanta. Che fa cose strabilianti con il pallone. Peppino Meazza, all’epoca poco più che ventenne ma già campione affermato, lo osserva con ammirazione: «Era il miglior giocatore del mondo», dirà poi di lui.
«Lui» è Héctor Pedro Scarone, nato (26 novembre 1898) e morto (4 aprile 1967) a Montevideo, figlio di emigrati italiani eccellenti nel trasmettere alla prole il gene calcistico: suo fratello maggiore Carlos, anch’egli attaccante, vanta 152 gol con il Nacional. E proprio con la maglia «tricolor» inizia la parabola calcistica di Héctor, che pure in un primo momento era stato scartato per ragioni fisiche, nonostante questo prodigioso quindicenne annoverasse tra i propri hobby quello di appendere un sombrero al ramo di un albero ed infilarci dentro il pallone da qualsiasi posizione e distanza. Palestra e sacrifici gli valgono un posto nella squadra riserve,
ma non è certo lì che merita di stare: cinque partite, ed è in prima squadra. Siamo nel 1916, Scarone non ha ancora compiuto 18 anni e lo chiamano «el Rasquetita», diminutivo di «el Rasqueta», soprannome del fratello Carlos: vince il campionato, da protagonista, e replica un anno più tardi, guadagnandosi la chiamata per il Campeonato Sudamericano (così era nota l’odierna Coppa America sino al 1967) del ’17, vinto dall’Uruguay grazie ad un «cabezazo» di Scarone – e chi, altrimenti? – nella partita decisiva contro l’Argentina.
Per «el Mago» Héctor si tratta del secondo gol in Nazionale, il primo segnato all’«Albiceleste», sua vittima favorita. Contro la «Selección» ne metterà a segno altri dodici, l’ultimo – da 40 metri – nel 1928, ad Amsterdam, decisivo affinché l’Uruguay salga sul gradino più alto del podio olimpico. E pensare che Scarone, il quale aveva già assaggiato l’oro a Parigi nel ’24, non avrebbe neppure dovuto prender parte a quest’edizione dei Giochi. Al tempo riservati ai soli dilettanti, pur di parteciparvi rifiutò la cospicua offerta d’ingaggio del Barcellona, ormai entrato nel mondo del professionismo.
Ma andiamo con ordine. È il 12 aprile del ’25, il Nacional (impegnato ne «La Gira de 1925», estenuante tour europeo durato 190 giorni) è di scena al «Les Corts», casa del Barça sino al trasferimento al Camp Nou nel ’57. Sugli spalti sono assiepati 50.000 spettatori, ansiosi di assistere a quello che si preannuncia essere un grande spettacolo. Vengono premiati: Josep Samitier, 326 gol in blaugrana, regala il 2-0 ai suoi con una doppietta, cui rispondono Urdinarán e Scarone. Un anno più tardi, «el Mago» lascia il Nacional dopo aver vinto 7 titoli nazionali e firma con il Barcellona, ma in Catalogna rimane appena sei mesi (segnando 6 gol in 9 partite e vincendo la Coppa di Spagna) prima di far ritorno nella sua amata Montevideo. Ci fu chi parlò di una difficile coesistenza con Samitier, ma il diretto interessato ci tenne a precisare: «Sapevo che, accettando il contratto professionistico offertomi dal Barça, avrei dovuto rinunciare alle Olimpiadi. Sarebbe stato come morire». E così, se ne tornò in Uruguay, per vestire la maglia del Nacional e… fare il postino, lavoro che prima conciliò con l’attività calcistica e proseguì poi sino alla pensione.
Portalettere sui generis, la versione calcistica del celebre tanguero Carlos Gardel non si limita a pacchi e raccomandate, ma consegna anche assist e gol. 301 in 369 partite con «el Bolso», il Nacional, meglio di lui solo Atilio García con 486, mentre le 31 marcature con la «Celeste» rappresentano tutt’ora un record. Ritoccato per l’ultima volta il 21 luglio 1930, contro la Romania, nel corso del primo campionato del mondo di calcio, che l’Uruguay si aggiudicherà sconfiggendo 4-2 l’Argentina in finale. Per Scarone, che un anno più tardi vestirà la maglia dell’Inter e poi quella del Palermo, si tratta dell’ultima partita con la «Celeste». Che mai più, probabilmente, toccherà gli apici raggiunti grazie alla sua classe.
Antonio Giusto
Fonte: Guerin Sportivo.it
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