TITOLO: L’artiglio dell’aquila
AUTRICE: Helen Kirkman
TITOLO ORIGINALE: Destiny
USCITA ITALIANA: GRS nr 586 maggio 2007
GIUDIZIO PERSONALE:
Per la seconda volta mi accingo a recensire un libro di Helen Kirkman e per la seconda volta mi trovo in grande difficoltà, sia nel descriverne la trama che nel giudicarlo. Sicuramente non è un romanzo banale, dall’insolita e problematica ambientazione alle caratteristiche dei suoi protagonisti. Sicuramente non è un libro leggero né superficiale nella caratterizzazione. Allo stesso tempo, però, è un libro che non mi ha mai catturata totalmente nella storia dei suoi protagonisti.
Come nel precedente, Lo Straniero, siamo nel mezzo delle guerre tra Sassoni e Vichinghi per il controllo dell’Inghilterra. Berg, principe dell’Anglia caduta in mano ai nemici, ha prestato giuramento di fedeltà al re Alfredo del Wessex e per lui combatte. Il suo corpo, ma soprattutto il suo volto, mostrano le cicatrici di questa lunga e spietata guerra, ma ancora più profonde sono le ferite per il regno perduto, per il cugino, il re Edmund, torturato e ucciso davanti ai suoi occhi, per la famiglia scomparsa e per la promessa sposa, Elgiva, che lo ha abbandonato dopo che lui ha perso tutte le sue sostanze. Durante una battaglia si imbatte in una giovane che fugge dall’accampamento vichingo.
Eleneha vissuto per vario tempo con i Vichinghi diventando l’amante del loro spietato capo, Kraka. Ha accettato quest’umiliante situazione per salvare la vita dei genitori, ma il suo sacrificio è servito a poco. Assoggettata fisicamente, psicologicamente non si è mai arresa e ha sfruttato il momento propizio della battaglia per fuggire. È caduta nelle mani del manipolo dei Sassoni guidati da Berg che l’hanno presa con loro. La scopo di Elene è quello di raggiungere i suoi genitori, senza sapere che Kraka li ha uccisi da tempo, e decide di seguire il gruppo di soldati che le assicurerebbe una certa protezione. Non sa che tra di loro troverà il pericolo maggiore, quello di doversi arrendere a dei sentimenti che le fanno troppa paura. Berg è per lei un enigma: è abituata ad essere sfruttata e sottomessa a un uomo; la sua dolcezza e pazienza la disorientano. Percepisce il suo passato di amante del Vichingo come una macchia infamante e incancellabile che la rende indegna di Berg.
L’uomo, da parte sua, adopera tutta la sua pazienza per abbattere questi muri costruiti da Elene, cercando di farle capire di essere stato una vittima degli eventi, di essere una persona assolutamente degna. Ciò non toglie che anche lui ha i suoi fantasmi, legati alla morte del cugino, re Edmund, alle torture subite che gli hanno deturpato una parte del volto. Da questo punto di vista c’è una straordinaria consonanza di sentimenti e pensieri tra i due protagonisti: l’uno rivede e rispecchia nell’altro le proprie sofferenze.
Senza dubbio è una storia ben costruita e ben raccontata, ma questo eccesso di densità emotiva, questo profonda drammaticità che emerge pagina dopo pagina, sempre più cupa, a me personalmente toglie un po’ di piacere. Non c’è luce, tutto è buio e cupo: insomma diventa un po’ troppo deprimente!
Ci sono alcuni elementi della trama che non mi hanno convinta: ad esempio, come mai i due protagonisti non si riconoscono quando si accorgono di avere i due pezzi della moneta che si erano scambiati da bambini, al loro fidanzamento ufficiale? L’autrice parla di una sorta di rimozione volontaria che non ritengo del tutto credibile.
Il mio giudizio è che questa è una buona lettura da consigliare a chi cerca un romance non convenzionale e molto giocato sui temi drammatici.