aka SHADOWS
(USA/THAILAND 2011)
cast: Cary Elwes – Ploy Jindachote – William Hurt – Vjvada Umarin – Paula Taylor
regia: John Penney
soggetto e sceneggiatura: John Penney
musica: Nobuhiko Morino
durata: 94 min
INEDITO
Jeff Mathews (Cary Elwes) brillante uomo d’affari americano è felicemente sposato con Som (Paula Taylor), splendida ragazza tailandese. Approfittando di una pausa lavorativa Jeff con la moglie ed il figlio Kyle si recano a Bangkok per una breve vacanza ed una visita al padre di Som…ma la tragedia (come al solito) incombe.
Lasciato l’aeroporto la famiglia rimane coinvolta in un terribile incidente automobilistico dove Som e Kyle muoiono, mentre Jeff cade in coma. Al suo risveglio, quasi un mese dopo, l’uomo si ritrova nella casa del suocero assistito da Choi Luang (Ploy Jindachote), giovane e bella infermiera specializzata nella cura dei malati terminali.
La riabilitazione dell’uomo è dura e tormentata e non solo per i traumi fisici; infatti Jeff inizia a soffrire di allucinazioni visivo/uditive dove percepisce persone accanto a lui che muoiono nei modi più tremendi. Inoltre si sente come “svuotato”, incapace persino di provare dolore per la perdita dei suoi cari. Confidatosi con Choi, scopre di aver acquisito la capacità di “vedere la gente morta”, ma solo se si trova nel luogo ed alla stessa ora in cui è avvenuto il trapasso, poi la situazione precipita: le anime dei defunti cominciato ad accorgersi della sua presenza ed arrivano ad interagire con lui, anche in maniera violenta (un morto che lo afferra per un braccio gli lascia una profonda ustione) e di pari passo la salute dell’uomo peggiora invece di migliorare.
Preoccupata Choi convince Jeff a rivolgersi a Mae Noi (Viyada Umarin) zia medium della ragazza che dopo aver tentato inutilmente di “curare” l’uomo con un esorcismo ne subisce l’infausta ritorsione ammalandosi fino a perdere le forze.
L’ultima chance per Jeff sembra essere Warren (William Hurt), uno stregone occidentale che vive isolato dal mondo (ma attorniato da belle fanciulle discinte) lungo la costa. Warren spiega a Jeff il casino in cui è andato ad infilarsi. Incapace di distaccarsi dalla moglie e dal figlio la sua anima è rimasta ancorata a quella dei suoi cari ed insieme a loro è trasmigrata nel Regno dei Morti (luogo di transizione delle anime), lasciando il suo corpo svuotato, ma capace di creare una sorte di ponte tra il nostro mondo e l’aldilà. Ora il suo corpo privo di essenza sta morendo e la sua anima rischia di rimanere per sempre perduta.
Warren in un primo tempo si rifiuta di aiutarli, poi si lascia convincere da Mae Noi e conduce Jeff e Choi nel profondo della foresta per raggiungere il Regno dei Morti, dove dimorano gli asuragai parademoni che si nutrono di carne umana, esiliati in quel limbo secoli prima dai saggi mawphi (?).
Choi dovrà fungere da faro guida verso il mondo reale, mentre Jeff dovrà superare la barriera della vita per tentare di recuperare la sua anima.
Prendete due cucchiaiate de “La Zona Morta”, aggiungete una manciata de “Il Sesto Senso”, un pizzico di “Mothman Prophecy” ed una spolverata di “Dragonfly”; fate riposare il tutto per 94 min e siete pronti a servire “Hellgate”.
Dopo la buona prova data con “Il Ritorno dei Morti Viventi 3″ ed altri film (come writer) stavolta John Penney ha toppato alla grande. Se sulla carta una storia come quella di Hellgate può funzionare filmicamente parlando non offre nulla di stimolante o innovativo. Inoltre Penney è agli esordi dietro la macchina da presa (dopo un fantomatico thriller intitolato “Zyzzyx Rd” del 2006) e sarebbe stato saggio per lui cimentarsi con qualcosa di meno “ostico” ed arzigogolato. Anche gli attori principali (Cary e Hurt) sembrano due bamboccioni scesi dal pero che gironzolano avanti ed indietro lungo la trama senza trovare una convincente collocazione, cercando di fare i fascinosi ed i misteriosi, con risultati deludenti. L’atmosfera latita ed il tentativo di dare una sorta di misticismo orientale al tutto non attecchisce.
Di buono c’è che ci vengono evitati i soliti spettri alla “Ring”; niente movimenti a scatti, donne con capelli fluttuanti e scricchiolii d’ossa e l’immagine che ci viene data di Bangkok non è quella offerta ai turisti, ma la visione di una qualsiasi metropoli come potrebbe essere New York o Londra.
Limpida e curata la fotografia ed affascinanti le riprese nelle foreste dell’entroterra; inquietante la trasposizione del Regno dei Morti con gli orribili parademoni cannibali, ma non basta, perché l’effetto soporifero incombe.
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