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regia di Alessandro Piva (Ita 2010)
Il commissario Silvestri (Claudio Gioé) coadiuvato dal collega Bellucci (Paolo Sassanelli) è impegnato nelle indagini per risolvere il caso dell'assassinio di uno spacciatore e di sua madre.
Le indagini portano all'arresto di Gianni (Michele Riondino) un ingenuo perdigiorno fidanzato con l'istruttrice di aerobica Nina (Carolina Crescentini), una tossica venuta dalla provincia.
Sullo sfondo dell'omicidio si muovono un clan di malavitosi italiani impegnati a conquistare una posizione di rilievo nel mercato della droga e una banda di africani.
Alessandro Piva autore del meraviglioso "La capagira" ( 2000) che gli valse un David di Donatello e un Nastro d'Argento come miglior regista esordiente e del sottovalutato "Mio Cognato" ( 2002 ) entrambi girati a Bari, cambia ambientazione e si trasferisce a Roma.
Una Roma ben rappresentata, lontana da quella da cartolina di Ozpetek, una Roma non abitata da romani, livida, cupa, infame e tossica.
"Henry" è un noir discretamente costruito, con personaggi interessanti come il poliziotto che sniffa e il tossico carogna e con almeno un paio di protagonisti che sfoderano una prova di buon livello (Sassanelli e Mazzotta).
Ma purtroppo "Henry" è qualcosa di molto lontano sia da "Mio Cognato" che dall'inarrivabile "La Capagira", anche se bisogna riconoscere a Piva, che ultimamente si era dedicato a fiction ospedaliere, il merito di continuare a fare un cinema indipendente che tenta di smarcarsi un minimo dai soliti clichè italiani.
Killer che sembrano macchiette assolutamente fuori luogo (Dino Abbrescia è inguardabile); dialoghi improbabili, un finale rappresentato in maniera poco credibile e uno squilibrio nella messa in scena, a volte curatissima, in molte altre trascurata (pistole giganti maneggiate in scioltezza lasciando capire anche allo spettatore meno attento che si tratta di giocattoli dal peso di pochi grammi) fanno dell'ultima pellicola di Alessandro Piva un prodotto che sfiora il grottesco che forse nelle intenzioni avrebbe dovuto essere feroce e a tratti allucinante al pari del romanzo da cui è tratto.
In definitiva, l’impressione di fronte a questo film è quella di un compromesso non riuscito tra la rappresentazione fedele della realtà piccolo-medio criminale (ottimamente ricostruita in "La Capagira") e la necessità di rendere fruibile il prodotto venendo incontro alle esigenze di un pubblico abituato al poliziesco patinato.
Il "divorzio" dal fratello Andrea, sceneggiatore dei precedenti film, non ha giovato al talentuoso regista salernitano.
Se "Henry", presentato in concorso al Torino Film Festival 2010, vincendo il premio del pubblico è rimasto nei magazzini per due anni un motivo ci sarà.
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