Henry Miller lo puoi leggere a vent’anni e ritrovarci dentro tutta la brama giovanile che ti arde nelle vene, se lo rileggi a quaranta i suoi diluvi di riflessioni sulla critica sociale, sull’erotismo, sul misticismo, tutte le sue infinite accumulazioni, ti mostrano un aspetto della vita che avevi trascurato. Henry Miller è stato uno dei miei più grandi amori letterari. I suoi libri, pubblicati dapprima in Francia da Obelisk Press e poi introdotti di contrabbando negli Stati Uniti, ebbero un’influenza decisiva sui nascenti autori Beat. Ed essendo io stato un fanatico della letteratura Beat, arrivai a Miller seguendone le tracce a ritroso, come capita spesso negli infiniti vagabondaggi a cui sottostiamo noi lettori di libri. Al principio fu Tropico del Cancro, che ricordo tenni sulla mia scrivania per qualche anno, estraendone di tanto in tanto lunghi brani deliziosi. Poi Tropico del Capricorno, e ancora Primavera nera (uno dei romanzi che ho amato di più in assoluto) e Opus pistorum. Poi dissi basta, perché nel frattempo andavo confrontandomi con la vita. Stamattina, a causa di uno dei miei sempre più frequenti risvegli aurorali, ho ripreso in mano i suoi romanzi che conservo scrupolosamente nella mia libreria. Ed essendo non più un ventenne carico di aspettative e di rabbia e di passionalità, bensì un uomo ben avviato ai quaranta e con tante incrinature, crepe e fratture nella personalità e nel temperamento, ho stentato quasi a riconoscere quell’autore che tanto amavo in gioventù. Così mi sono domandato, più di quanto faccia normalmente, se siamo noi a rileggere i libri o se sono loro, piuttosto, a ripassare continuamente sulle nostre vite, in tempi diversi e con esiti disparati.
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