La cosa più curiosa di Her – e non ditemi che non è così – è che quando Theodore – Joaquin Phoenix, Dio ti benedica – inizia una relazione con il suo sistema operativo – la cyber vamp Scarlett Johansson – nessuno si è guardato scandalizzato col vicino di poltrona. Al massimo avete fatto scivolare la mano sul vostro smartphone e gli avete titillato il bottoncino della home. Il fatto che una love story fra arterie pulsanti e circuiti con una coscienza sia plausibile non è solo merito della grazia con cui Spike Jonze ha spennellato la sceneggiatura e costruito i personaggi – aveva l’abitudine di chiudere Phoenix e la Adams dentro una stanza per farli socializzare (sindacaaaaati, giochiamo a fare la guerra?) – ma lo è soprattutto perché la simbiosi con i nostri touch screen è irrimediabilmente completa. Tipo salva con nome. Dico, provate a stare 24h senza, non so, il vostro telefono e – se ci riuscite – ditemi se il giorno dopo il primo impulso non è quello di mandargli dei fiori e un biglietto di scuse. Her è la storia delle perversioni della tecnologia, la versione edulcorata. Romanticizza la paura ontologica di essere controllati perché costantemente esposti. Questa è sociologia spicciola, comunque, concentriamoci invece sul vero messaggio del film: è ufficiale, raga, torna la vita alta.
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