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"I think anybody who falls in love is a freak. It's a crazy thing to do. It's kind of like a form of socially acceptable insanity."
Camminiamo a passo svelto senza voltarci indietro, gli auricolari nelle orecchie e gli occhi ben piantati sullo smartphone, sperando di non essere interrotti da nessuno mentre un amico dall'altra parte dell'incrocio si sbraccia insistente sperando di attirare la nostra attenzione: possiamo fingere che non stia succedendo e che si tratti solo di una futuristica previsione, ma la tecnologia si è intrecciata alle nostre vite al tal punto da aver reso quasi impossibile concepire un mondo in grado di vivere al di fuori della sua costante invadenza; abbiamo lasciato che accadesse, noi bravi figli dei nuovi Anni Dieci abituati a dare per scontate le straordinarie opportunità di comunicazione che i tempi ci hanno concesso, inglobati in relazioni che inseguono l'immediatezza ma rifuggono il contatto fisico per praticità o per moda, o magari perché pur permettendoci di osare molto e di rischiare altrettanto ci danno la sicurezza che per quanto profonda possa essere la delusione tutto sarà reso più facile dalla distanza impostaci da uno schermo; ciononostante, quando la connessione si disattiva lasciandoci scoperti di fronte a un mondo che non sa più vedere e sentire senza filtri, arriva sempre quel momento in cui dobbiamo chiederci, anche solo per pochi minuti, se ne valga davvero la pena.
Charlie Brooker, padre della spietatissima serie britannica di Channel 4 Black Mirror, ci risponderebbe confezionando una distopia degna dei nostri incubi peggiori, ma a Spike Jonze non interessa una riflessione terrorizzante e grottesca per mostrarci ciò che siamo davvero diventati: il suo Her vive in un mondo futuribile i cui meccanismi non hanno bisogno di troppe spiegazioni, ovvia amplificazione di un presente con cui condivide profonda malinconia e grandi speranze, dove il modo di ascoltarsi e di avvicinarsi gli uni agli altri è radicalmente cambiato lasciando immutato il bisogno di amare ed essere amati.
Una triste monotonia scandisce le giornate di Theodore, ghost writer di professione che come uno scrivano dell'Ottocento detta a un'interfaccia vocale appassionate lettere d'amore, per conto di terzi divenuti del tutto incapaci di trovare le parole per esprimere sentimenti che in un sistema assuefatto alla spersonalizzazione è più facile affidare alle cure di un estraneo( le avanzate apparecchiature sono persino in grado di simulare la grafia dei presunti autori della corrispondenza).
È attraverso lo sguardo sognante di Theodore, quasi svuotato dal dolore per un divorzio impossibile da razionalizzare, che familiarizziamo con una realtà dove i sistemi operativi sono esseri pensanti dotati di un'autentica sensibilità e coscienza: per tentare di reagire al vuoto che lo avvolge l'uomo si affida infatti alle cure e alle attenzioni di Samantha, Os1(Operative System) di ultima generazione modellato per crescere insieme all'utente e soddisfare tutte le sue esigenze, riscoprendo attraverso i suoi "occhi" le piccole e straordinarie meraviglie di un mondo che sembrava sul punto di svanire.
Come in ogni relazione, il momento della svolta non tarda però ad arrivare: Samantha diventa molto più di un costante e indispensabile antidoto alla solitudine, sfiorando Theodore con le sensuali e vellutate corde della sua voce fino a farlo innamorare e innamorarsi a sua volta, in una passione che si riempie di sogni e fantasie rubate ma anche di un desiderio fisico, emotivo e del tutto reale.
Con simili premesse, il rischio per un personaggio come Theodore di scivolare nel patetico e di subire lo scherno del pubblico era notevole, ma lo script di Jonze incanta e conquista grazie alla sua capacità di incedere nel racconto di un amore "eccezionale" descrivendone l'assoluta e completa normalità: tutti abbiamo segreti e debolezze di cui vergognarci, ma Samantha non è un imbarazzante servizio di chat line da tenere nascosto agli amici e a cui abbandonarsi nella notti più tristi, coltivando un carattere umanissimo che desidera rispetto e considerazione come chiunque altro; a dispetto dello spunto fantascientifico che li mette di fronte a ostacoli difficili da ignorare ( la mancanza di un corpo da parte di "Lei " è una complicanza eccessiva persino per un rapporto a distanza)i nostri protagonisti altro non sono che una coppia impegnata ad andare avanti, giorno dopo giorno, confrontandosi con un cambiamento che colpisce tutti in un certo momento della vita e che li vedrà maturare separatamente, come spesso succede, conducendoli verso un epilogo inevitabile e pur pieno di speranza.
Fra i grattacieli che si stagliano a perdita d'occhio, in una Los Angeles linda e ordinata ma anche solare nei suoi bagliori rosei e aranciati, un Joaquin Phoenix magistrale custodisce lo sguardo illuminato di un uomo deciso a tornare alla vita, lasciandosi alle spalle il passato incarnato da una Rooney Mara onnipresente attraverso flashback e sprazzi di memorie che la camera sfuma con delicatezza; inafferrabile ma più che mai vivida per il protagonista così come per il pubblico, la voce magnetica e rassicurante Scarlett Johansson è perfetta per interpretare al meglio la bella Samantha, anche se parteggiare per la dolce e comprensiva ( oltre che tangibile) amica del cuore interpretata da Amy Adams è comunque doveroso.
Mentre ci congediamo da Theodore sulle ultime note delle musiche degli Arcade Fire, al lavoro su sonorità elettroniche avveniristiche che accordano insieme vibrazioni di gentilezza e smarrimento, quella fastidiosa domanda torna martellante a farsi sentire nella nostra testa in attesa di una risposta: l'unica cosa che possiamo fare per appagare la sua richiesta è ringraziare Spike Jonze, per averci guardato dentro così nel profondo e aver compreso i territori in cui ci stiamo più o meno consapevolmente avventurando senza moralismi né pedanti ramanzine, perché l'intimità e la tenerezza di Her sono la prova di come la ricerca dell'essere umano nella sua lotta contro il più antico dei mali sia sempre la medesima: immersi in una nube di ricordi che resteranno opprimenti finché non troveremo la forza e il coraggio di riscrivere la nostra storia, stiamo solo cercando un modo, un qualsiasi modo, per essere felici e non avere più paura.
Note:1)Non/OSCAROMETRO- Dirò solo questo: film come Twelve Years A Slave sono necessari per imprimere nella nostra mente l'immagine di un passato scomodo e doloroso che non può e non deve essere dimenticato, ma premiare un film capace di decifrare con sincerità e candore i meccanismi che hanno già posto le basi per il futuro che ci aspetta sarebbe stato altrettanto importante( lo so che ha vinto la miglior sceneggiatura originale, ma in un mondo ideale mi sarebbe piaciuta una scelta più coraggiosa e meno ovvia da parte dell'Academy, per quanto matematicamente impossibile).2)Ho visto il film esclusivamente in originale, per cui non ho la più pallida idea di come Micaela Ramazzotti abbia lavorato sul personaggio di Samantha: vi dirò, dal trailer non sembrava tanto male, ma qui la voce è davvero TUTTO e accettare il doppiaggio significa, più che in ogni altro caso, vedere un altro film.
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