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Her, di Spike Jonze [recensione]

Creato il 03 febbraio 2014 da Elgraeco @HellGraeco

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Her di Spike Jonze è una sorta di specchio oscuro. Mostra il lato estremo della (a)socializzazione umana, con una macchina, o meglio, con una intelligenza artificiale in grado di apprendere per diventare, di volta in volta, umana, troppo umana.

 

Intelligenza Artificiale alla quale, però, Spike Jonze sottrae fisicità. Her, o Lei, o nella fattispecie l’OS1 Samantha, il sistema operativo di nuova generazione, autocosciente, cui Scarlett Johansson ha prestato la voce, esiste soltanto in quanto interfaccia. Neppure grafica (anche se il tutto assomiglia a windows… il che porta a conclusioni terribili), è come una sorta di voce della coscienza che, tramite l’hardware, le connessioni wi-fi, la telecamera, interagisce costantemente col suo proprietario, Joaquin Phoenix.

Specchio oscuro dell’animo umano, quindi, quella roba da elencare negli effetti collaterali indesiderati dei foglietti illustrativi.

HER

Si parla di amore puro, ovvero di intossicazione dei sensi, con l’unica differenza che Samantha non possiede e non avrà mai un corpo fisico, a meno che non le venga dato in prestito da una sorta di attrice umana (addirittura più alienata del protagonista), e che è illimitata per ciò che concerne le potenzialità di crescita e espansione.

La domanda alla base del film è: è possibile amare di un amore puro, che trascenda quindi i limiti del corpo?

Ed è una domanda alla quale non so rispondere. Nessuno sa rispondere. Presupponendoci indissolubilmente legati alla nostra forma fisica.

Non dimentichiamo infatti che la nostra percezione del mondo è tale in quanto siamo noi a essere così strutturati.
Se avessimo forma diversa, e ci svegliassimo in un posto diverso, il mondo sarebbe diverso? (cit.)

Ma non è solo questo.

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Si parlava appunto di effetti collaterali. L’effetto collaterale reale, sotto lo sguardo di tutti, nell’era della comunicazione globale è, per paradosso, l’assenza di comunicazione.

Coltiviamo centinaia di relazioni online, ma, accade spesso, l’idea di interagire con un essere umano al di fuori della matrice ci atterrisce. Ci dà i brividi.
Perché? Perché gli esseri umani sanno essere dei veri figli di puttana.

Nell’era della semplificazione, in cui un’icona sostituisce una frase di senso compiuto, si cerca tutto il positivo di una relazione interpersonale, scremata degli aspetti deteriori. Online non puzza nessuno, la presenza dell’altro è discreta, ordinata, ridimensionabile con un clic. È… facile, per l’appunto.

E questa inscenata in Her sembra essere l’estremizzazione di questo andazzo. Il mondo è moderno e affollato, ma la gente, pur essendo a portata di braccio, preferisce relazionarsi tramite clic, o comando vocale.

L’OS1 è la soluzione di comodo, una macchina che sarà sempre a disposizione, che ti ascolterà, che ti coccolerà, che arriverà a fare l’amore con te e che non potrà mai ferirti. O, almeno, queste sono le premesse.

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Il problema di una intelligenza artificiale sofisticata e in grado di apprendere è che evolve, si eleva, e ben presto dimentica gli striminziti confini umani, per ambire a un tipo di grandezza che è al di là della nostra comprensione. Ecco, se il nostro mondo è a nostra immagine e somiglianza, immaginate il mondo di un’intelligenza artificiale che non ha forma, né confini. Immaginate quanto, di colpo, un essere umano possa apparirle piccolo e limitato.

E certo, si ride, si guarda increduli alla scena in cui Theodore/Joaquin Phoenix (uno dei protagonisti più antipatici, smidollati e senza coglioni che abbia visto nell’ultima cinquantina di anni. E di anni ne ho solo 37) fugge via da un appuntamento con Olivia Wilde. Ma qui succede. E al di là degli estremi, che pure forse sono simbolici, e vogliono dimostrare, col rifiuto della bellezza di Olivia, l’alienazione totale dalla realtà che affligge l’idiota (mollato dalla moglie Rooney Mara perché non parlavano più… ma va?), Her pone l’attenzione sulla comunicazione, quale veicolo del sentimento, pur assecondandone una intrinseca natura tragica che, oggettivamente, ha rotto le palle.

Non è vero che l’amore è tragedia.

Non è vero che è destinato a perire.

Non è vero che agli uomini sensibili (e anche alle donne) piace piangere e masturbarsi col proprio PC.

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Non ancora, forse. Non sempre. Qui parliamo di minoranze, spero.
Almeno fino a quando avremo la capacità di sopportare la presenza altrui, i difetti, le gioie, le piccole invidie, tutto il pacco, pesantissimo, che ci fa desiderare altrimenti, di perdere corpo e sostanza, perdendosi dietro un avatar che, come detto, non ha difetti.

E a quest’altra cazzata, ci può credere giusto uno che non ha conosciuto la merda che si cela, dietro quegli avatar. Forse anche peggiore di quella in carne e ossa.

Concentrarsi sulle piccole cose, sul proprio peso, sul sorriso, sul calore sulla pelle. Uscire con olivia Wilde e non avere paura di rischiare. Parlare, confrontarsi, provare interesse, per una volta non egoistico, nella vita di un altro essere intelligente, fatto di carne e sangue.

Vivere, in poche parole.

Come cazzo abbiamo fatto a dimenticarcene?


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