Her, la favola hi-tech di Spike Jonze

Creato il 07 settembre 2014 da Nicola933
di Michele Giacci - 7 settembre 2014

Lei (Her)
Genere: Romantico
Regia: Spike Jonze
Cast: Joaquin Phoenix, Scarlett Johansson, Amy Adams, Olivia Wilde, Rooney Mara, Chris Pratt.
2013
120 min

Di Michele Giacci. Qualcuno se l’era quasi dimenticato, eppure Spike Jonze è tornato. Il geniale regista americano, insieme a Charlie Kaufman, era partito alla grande realizzando a cavallo del nuovo millennio uno dei film più strani e innovativi di sempre: Essere John Malkovich. Grazie poi al secondo lungometraggio, Il Ladro di Orchidee, frutto sempre della collaborazione con Kaufman, aveva proiettato la sua carriera verso qualcosa di importante, lasciando per il momento il mondo teen di Mtv. Dopo la parentesi di Nel paese delle creature selvagge Jonze ritorna a quel cinema che sa raccontare e ci proietta in una metropoli di un futuro non troppo lontano, esplorando le difficoltà e i rischi delle derive del mondo moderno.

Her racconta la storia di Theodore Twombly, interpretato da Joaquin Phoenix, tra divorzio e lavoro malinconico, quello di scrivere lettere per gli altri, trova il momento di uscire e fallire con qualche ragazza per poi finire con l’innamorarsi di Samantha, il suo nuovo rivoluzionario OS: Sistema Operativo.

Her è molto più di una storia d’amore originale. In questo senso sarebbe giusto parlare di un film ben scritto e ben recitato, con gli attori, su tutti Scarlett Johansson che presta la voce a Samantha, che compiono un lavoro eccezionale al servizio della sceneggiatura. Ma quello che vuole dirci Jonze, quello che ci mostra, non è altro che lo specchio di una generazione che sta nascendo e crescendo oggi e che in futuro avrà bisogno di macchine per compiere azioni apparentemente semplici.

Così come sta avvenendo nella nostra epoca, nel futuro di Her c’è la ricerca del vintage, dagli occhiali alle giacche, passando per i pantaloni a vita alta, altissima, quasi ”fantozziani”. E’ un futuro fatto di immagini opache con la natura che sopravvive in mezzo ai grattacieli, città delimitate da spiagge infinitesimali sature di persone. E’ una Los Angeles sempre caotica e affollata. I marciapiedi, le piazze, la metropolitana e appunto la spiaggia sono però luoghi morti, spettrali, in cui l’uomo asociale, freddo e cinico nei confronti del prossimo passa le ore in silenzio senza cercare il contatto fisico o verbale. L’evoluzione ha portato a creare computer iper-funzionali abbandonando almeno apparentemente la voglia di scoprire e di accrescere le relazioni sociali.

Samantha, il sistema operativo installato da Theodore non è altro che un discendente di Hal 9000, in quel 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick nella quale l’uomo doveva sottostare alla sua stessa creazione, e combatterla. Her, oltre alla componente meccanica e sentimentale mischia anche un lato filosofico, dove è l’uomo a voler a tutti i costi un rapporto col computer ricavandone gelosia e delusione. E qui subentra l’aspetto umano dell’amore dipinto da Jonze con la semplicità di un romanziere qualunque.

Spike Jonze, famoso per i suoi film high-concept come Essere John Malkovich o Nel paese delle creature selvagge, adopera meccanismi inusuali per fornire una visione reale e rilevante della mente e/o dell’anima umana, in quanto si riferisce al filo connettivo di esperienze di vita. In Her l’obiettivo è quello di esaminare il processo di amare in modo non convenzionale, con un rapporto non fisico, situato all’interno di un mondo che confina stranamente all’interno della nostra tecnologia (e di conseguenza alienante), un infuso di realtà moderna. Jonze riesce effettivamente a creare una torsione molto accattivante di un vecchio racconto concedendo a chiunque di innamorarsi in altre forme ma con gli stessi sentimenti.

Her è una storia d’amore profondamente sincera. E’ la storia d’amore improbabile ma del tutto plausibile tra un uomo che a volte assomiglia ad una macchina, e un sistema operativo che vuole assomigliare agli uomini. E’ ambientato a Los Angeles, la città di paure e sogni di plastica, in un tempo futuro non specificato. Mr. Jonze e il suo superbo scenografo, K.K. Barrett, non hanno reinventato il mondo, lo hanno solamente impreziosito.

I colori vivaci, lavati dalla fotografia non sono fonte di distrazione, e il mondo del film è una scatola con la quale giocare per ottenere più profondità emotiva nella storia. La sceneggiatura di Jonze (premiato con l’Oscar), progredisce secondo un ritmo attentamente controllato e intelligente facendo qualche fermata negli archi narrativi dei personaggi, fornendo forte sviluppo per mezzo di alcuni tentativi di Theodore nel reclamare una qualsiasi forma di amore nella sua vita. Questa è una storia intima, onesta, spesso divertente, affascinante e molto toccante, che riesce a scuotere più di una corda emotiva.

Il personaggio di Amy Adams sottolinea acutamente verso la metà del film come l’amore sia per molti versi una follia socialmente accettata. Cambia il modo di pensare, sentire e agire in ogni situazione, ci spinge a fare delle scelte illogiche e irrazionali, e quando l’amore sta per finire non c’è nulla di più doloroso. Eppure, sentiamo il forte bisogno di perderci nell’amore. E’ pura astrazione, ed è una delle cose più difficili da adattare in narrativa in maniera significativa e di grande impatto.

L’immaginazione stravagante del favolista Spike Jonze potrebbe essere materia di studio per osservare la grande saga umana. Questo è un film che va sfiorato con delicatezza. Narra di un uomo che, come tutti gli altri intorno a lui in questo futuro prossimo, si nasconde dalle altre persone in un mondo di macchine. In Her la grande domanda non è se le macchine possono pensare, ma se gli esseri umani possono ancora provare dei sentimenti.

E’ un’opera semplice nella sua complessità nel trattare un tema nuovo, quasi inclassificabile. Ci sono voluti anni per completare la sceneggiatura e il risultato finale è qualcosa di spericolato, filosofico, struggente, diverso, con una poetica da lasciare senza fiato. Per quanto Her segua la vita di Theodore ad un certo punto il film va spaccandosi in due lasciando le redini a Samantha che vuole trovare in lei qualcosa in più di una semplice voce, un corpo per muoversi e per offrire emozioni e sensazioni mentre Theodore sa di ricevere quell’amore che non ha mai trovato con la sua compagna umana, una splendida e incantevole Rooney Mara.

Theodore un corpo ce l’ha invece, ma soprattutto un volto, un volto stanco, sorridente, triste, appagato e meravigliato, che esprime gioia, amore e dolore. E’ il volto di Joaquin Phoenix, personaggio ancora scomodo ad Hollywood, ma un’attore dalla quale bisognerebbe solo imparare e che offre una prova recitativa sbalorditiva, spalleggiato a tratti da un’impagabile Amy Adams sciatta e struccata, stanca dell’amore umano, stanca di soffrire. In Italia il film, tradotto “Lei”, è uscito in una versione doppiata nella quale si distrugge l’intero lavoro di Scarlett Johansson sostituendo la sua voce calda, sexy, precisa, spontanea, gioiosa, rauca e rotta dal dolore, con quella di Micaela Ramazzotti.

Sembra tutto magico nel mondo di Spike Jonze, come la patinata e calda fotografia di Hoyte Van Hoytema e i sontuosi brani degli Arcade Fire intervallati dall’onirica The Moon Song di Karen O a completare la colonna sonora. Spike Jonze ci regala forse il suo film più riuscito e la sua critica ad una società che andrà sempre di più a perdere i suoi sogni e le sue visioni, l’amore e l’amicizia, il dialogo e il contatto fisico a discapito della tecnologia che piega le teste di molti su piccoli schermi portatili che spacciano ancora per telefonini.

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