HER: storia d’amore digitale

Creato il 02 aprile 2014 da Stivalepensante @StivalePensante

Un articolo di Alice Grisa. La solitudine è una grande vetrata al di là della quale la città piange le sue luci come una manciata di diamanti. Fa pensare a Scarlett Johansson sola in una stanza d’albergo, ragazza “lost in translation” inevitabilmente distratta davanti a Tokyo accesa e distesa.

Joaquin Phoenix, il protagonista di “Her” (collister.com)

Siamo sdraiati sulla luna, racconta The Moon Song a metà di Her, è un posto stellato e tranquillo, è un posto buio e luccicante; è come una sala cinematografica, culla buia spezzata dal fascio di luce dello schermo. Sempre più potente, leva di un immaginario già sfruttato o pronto ad affiorare, il cinema scrive un’altra pagina incantata sull’uomo non più ambiziosamente selfmade ma solo e progressivamente self. Il mood di Her è diviso tra lo spleen come stile di vita e l’eternal sunshine of a spotless mind riscritta in chiave digitale.

Jonze, visionario e anche sceneggiatore al posto, stavolta, di Andy Kaufman, costruisce il suo ennesimo mondo, il più cerebrale e struggente, quello in cui l’uomo sale verso la luna o si illude di farlo. E’ la Los Angeles di un presunto 2016, 2018, 2021 (quando, tra poco, il Siri si evolverà a intelligenza artificiale), Theodore è l’hipster-indie-alternativo istituzionalizzato-pseudopoeta-letterato (Joaquin Phoenix con i baffi) di cui può capitare di innamorarsi pur riconoscendo il cliché: è l’artista con il trilocale in centro, quello che non smette di fumare, quello che si ricorda di guardare la luna, l’unico uomo etero con una parte femminile, quello che parla d’amore.

Jonze cura il “software” tanto quanto l’”hardware” del suo film, pensando a un futuro immediato che non si allontana troppo dal presente: lo progetta minimal, rosa, celeste e arancio, pieno di ascensori e scale mobili, grattacieli, spiagge affollate e delicati scorci metropolitani. La tecnologia si sta evolvendo ma il regista, che in Essere John Malkovich o ne Il ladro di orchidee ragionava sulla complessità della mente, con Her utilizza lo spunto fantastico e fantascientifico per concentrarsi invece sull’isolamento di un uomo che ha perso l’amore.

Sui mezzi pubblici, per strada, in ufficio, nei sottopassaggi la gente è insieme e da sola: tutti ignorano il vicino e parlano con il nulla, tutti ascoltano il proprio auricolare con microfono  collegato al dispositivo che fa convergere cellulare, app, posta elettronica, browser, tutto.

Joaquin Phoenix, il protagonista di “Her” (herthemovie.com)

Se per McLuhan il medium era il messaggio, per Spike Jonze è un orecchio sul mondo. Theodore, scrittore di lettere d’amore, dopo la rottura con la donna della sua vita, sta raccogliendo i cocci dei suoi ideali infranti. Il tempo libero è il nemico numero uno e si può riempire in modo più o meno grottesco facendo sesso weird al telefono, ascoltando playlist strazianti o giocando al videogioco dell’alieno virtuale che incarna la propria chimera. L’uomo galleggia depresso finché un nuovo amore lo sorprende nel modo più estremo grazie all’installazione di un sistema operativo che sperimenta l’intelligenza artificiale. La sua voce guida è Samantha, Scarlett Johansson “vergine” in qualunque cosa e sensuale nel suo non esserci (nel doppiaggio italiano è Micaela Ramazzotti, colpita dalla sindrome “lost in translation” e che connota il film in maniera, involontariamente ma nettamente, diversa).  Theodore si innamora del non-corpo di Samantha: rifiutando la disillusione del relativo sull’assoluto, ricerca quei ricordi di purezza guardando e sentendo, tramite il cervello dell’OS1 che guarda con la fotocamera e compone canzoni digitali, il mondo come se non l’avesse mai visto prima. Se nel film di Sofia Coppola (ex moglie del regista) Scarlett era compagna di vuoti, ora li riempie con voce evocativa, costruendo il punto di vista con una fantasia altra.

Perché “Her” non è “She”? Perché le donne sono complemento oggetto, da Catherine alla stessa Samantha, funzionano come cartine di tornasole per l’evoluzione (o involuzione, oppure gigantesco momento di onanismo) di un uomo. Theodore muore, rinasce, ri-muore e alla fine forse riesce a liberarsi dei fardelli che gli rendevano (e quasi solo per colpa sua) impossibile una vera relazione.

Il brand Arcade Fire evolve la colonna sonora a direzione esistenziale; la sceneggiatura (Premio Oscar) è chiaroscurale e, constatata la problematicità della natura (l’uomo è mortale, l’amore decade) non si pone come un’estrema rivisitazione de La Ginestra che rifiuta il progresso come tutela della delicatezza del fiore umano, ma, incorporando le nuove tecnologie nella vita e bypassando il chiedersi dove stiamo andando, si sofferma piuttosto sul come ci arriveremo.

Her è il lungo momento di un uomo allo specchio mentre pensa a una donna come pretesto per uno squarcio sincero nell’anima.

Jonze tocca punti sensibili. La solitudine consumata tra i grattacieli travolge; il finale commuove; il futuro spaventa e incanta.

Un film di Spike Jonze. Con Joaquin Phoenix, Scarlett Johansson, Amy Adams, Rooney Mara, Olivia Wilde, Caroline Jaden Stussi, Laura Meadows, Portia Doubleday, Sam Jaeger, Rachel Ann Mullins, Katherine Boecher, Alia Janine, Jeremy Rabb, Lynn Adrianna, Luka Jones, Eric Pumphrey. Titolo originale HerCommedia, durata 126 min. – USA 2013. – Bim uscita giovedì 13 marzo 2014.


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