Abel Hernadez, il talentuoso attaccante del Palermo, è stato intervistato dalla Gazzetta dello Sport. Ha detto che quest’anno vorrebbe segnare più di dieci goal. In più, punta alla Coppa America con l’Uruguay, anche se la concorrenza è agguerrita: Forlan, Suarez, Cavani, Abreu…
E poi ha risposto alla domanda sul suo futuro, considerando la corte dell’Arsenal e del Barcellona: “Sto bene dove sono, ma tra le due opzioni scelgo la Spagna. Mi piacerebbe andarci con Pastore, sarebbe bellissimo“.
Hernandez ha appena compiuto 20 anni. Essendo tale, è fomentato dall’istinto, dalla passione, del desiderio sacrosanto di pretendere una carriera splendida, anche perché ne possiede i mezzi.
Ancora troppo piccolo, forse, per comprendere ciò che bisogna dire e non dire. Perché al tifoso palermitano può non andare giù il “sarebbe bellissimo” andare in Spagna, in compagnia di “Pastore“, altro idolo RosaNero.
Se fosse stato più maturo, avrebbe magari risposto così: “Sono due grandi squadre. A chi non piacerebbe farne parte? Ma sto bene qui, a Palermo. Dove voglio fare bene. La società e i tifosi se lo meritano. Al futuro ci penserò quando sarà il momento“.
Sia chiaro. Nulla contro Hernandez. Come Pastore, mi diverte. Emozione essenziale della passione per il calcio. Se non fosse per giocatori come lui, questo sport sarebbe una noia mortale, eccessivamente ancorato alle lavagnette magnetiche.
È, piuttosto, un consiglio per le prossime interviste. Perché la folla va conquistata (Il Gladiatore docet).
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