Forse qualcuno di voi sa dell'espressione "Kilroy was here", nota tra gli americani durante il periodo della Seconda Guerra Mondiale, oppure avrà visto quel disegno sul muro, e ricorderà l'omino calvo col naso lungo. Quel che è certo è che, molti di voi, avranno pensato a Cliff Burton nell'immediato, quando sullo schermo è apparso quel capellone tatuato di Hesher. Joseph Gordon-Levitt in effetti non ha mai nascosto di essersi ispirato al bassista dei Metallica per rendere al meglio le fattezze vagabonde e disturbate proprie del personaggio voluto da Spencer Susser.
Il giovane attore statunitense credo abbia dato qui, una delle sue più grandi prove d'attore. Una figura complessa, che porta dentro un male quasi mai afferrabile se non verso il finale del film. Certo è che la grande performance di Levitt non compensa (almeno non del tutto), le piccole imperfezioni che, nel corso della visione, "saltellano" davanti ai nostri occhi. Nel cast troviamo anche una bella e impacciata Natalie Portman, nei panni di una ragazza terrorizzata dall'idea di una vita anonima, del sentirsi una signora e non una ragazza, solo perché fa la cassiera e indossa un paio di grossi occhiali. Peccato perché il film avrebbe potuto dare davvero di più, non manca nel dire a chi guarda che a volte la vita ci toglie qualcosa e in questi casi dovremmo semplicemente guardare cosa è rimasto. Ciò che abbiamo ancora.
Non convince però il cambiamento inaspettato e inspiegabile di Hesher. Quello dalle manie piromani, violente e quasi mai comprensibili che alla fine diventa una sorta di messia maledetto. Quello che con la storia del "coglione" sinistro incanta i fedeli. Così, quell'attimo di quiete ed equilibrio apparente, dalle umane corde che si toccano nel vedere una vecchietta a fumare "sigarette curative", e quella corsa disperata di chi è arrivato troppo tardi e non ha mai ascoltato, perde un po' del suo fascino e non arriva dritto al cuore, come avrebbe potuto (e/o dovuto).