Il giorno in cui scoprii ( o come direbbe Battiato, scopersi) di essere incinta gioii per alcuni istanti; poi nella mente ci fu uno strappo accompagnato da quel suono stridulo che inseriscono nei film quando accade qualcosa di inaspettato e partono con un flash per dare spiegazioni agli spettatori.
Il mio flash era pressapoco così: faccia del mio capo che mi accoglie nel suo ufficio, dopo avergli detto che dovevo parlargli.
Seconda scena: sangue (mio ovviamente) che cola dalle scale e dipendenti ricattati di licenziamento in caso qualcuno avesse parlato.
La realtà è andata molto meglio se paragonata ai miei film immaginari.
Dopo un paio di settimane, sicura al 100% della notizia, composi l’interno del mio capo con il telefono fisso degli anni ’70 sulla mia scrivania.
“Shsssss…Crraracccc…. Ehm Posso salire?” (il capo in quanto tale, ha l’ufficio hai piani alti: è una semplice metafora per far capire che tu dipendente lavori al piano inferiore in quanto INFERIORE).
“Seeee” rispose con il solito contagioso entusiamo.
La mia faccia paonazza slittava dai 40/45 gradi, gli occhi dal verde erano diventanti grigi e un brontolio nello stomaco anticipava ciò che gli avrei dovuto dire.
Entrai guardando in basso, lui mi scrutò sicuramente pensando che volevo chiedere un altro aumento, quindi mi scrutò schifato in modo che il nostro linguaggio non verbale facesse tutto: -vorrei un aumento- non è il caso inetta-.
Ma il linguaggio non verbale non mi aiutò.
Mi sedetti sul bordo della poltrona tenendo un piede appoggiato a terra e una gamba piegata -posizione partenza staffetta,che in caso di pericolo aiuta sempre!
Quel giorno per facilitare la fuga mi ero presentata al lavoro in tuta e salii nel suo ufficio con un quadernone A4 che mi sarebbe servito da scudo.
Dopo pochi secondi realizzai che era meglio buttarsi, presi fiato e quasi urlai alla velocità della luce: “Hofattoleanalisidelsangue:sonoincinta_ahmisonotoltaunpeso”
Ce l’avevo fatta: l’avevo detto, il peggio era passato, la mia faccia riprese colore, la temperatura scese a 15 gradi, un po’ troppo.
“Non ho capito niente, puoi ripetere più lentamente?”.
Oh cazzo. Versione breve.
“Sono incinta”.
“Cooooomplimenti!!!” Un sorriso a 32 denti comparve sul suo volto.
No, non è possibile. Dopo 30 minuti di congratulazioni tornai alla mia scrivania sconvolta; la mia collega guardandomi mi chiede: “Andata male eh?” “No bene risposi io.” “EH? Gatta ci cova”.
Per il mese successivo mi aggirai per la ditta con l’accortezza di Cat-woman, pronta a coltelli in caduta libera dal soffitto, trappole per topi giganti, meglio note come trappole per gravide, portavo l’acqua da casa per paura di possibili avvelenamenti e dalle ballerine passai ad indossare scarpe anti-infortunistica anche per stare seduta su una scrivania.
Non so se fu merito di Cat Woman o della provvidenza, eppure rimasi viva.
A breve realizzai il piano diabolico: mi volevano viva, ma esaurita; di lì alla fine della gravidanza da comune dipendente diventai feccia umana.
Dopo 4 anni di lavoro mi misi in malattia una settimana a seguito di Villocentesi e mi fu risposto che “Non porto rispetto all’azienda”.
Mentre vivevo l’odissea della mia gravidanza, durante la quale 3 medici su quattro mi consigliavano di abortire, vivevo anche nella costante ansia lavorativa.
Passavo le mie serate tra forum e blog googlando a intervalli regolari “TN alta” e “il mio titolare mi tratta di merda” e devo ammettere che mi rallegrai nel leggere che ero in buona compagnia!
Poi arrivò la svolta tanto attesa: villocentesi con esito negativo (quindi buone notizie), esami genetici ok e lentamente iniziai a realizzare che, sì ero incinta, e potevo rallegrarmi come tutte le altre, potevo iniziare a pensare al nome, a guardare le tutine…
Insomma, come nelle migliori favole la felicità ebbe la meglio su tutto; così fino alla fine dell’8° mese diventai di gomma nei confronti di qualsiasi frecciatina o insulto ricevuto al lavoro.
Ok, il trucco era semplicemente alienarmi e interiormente (con la stessa concentrazione cui i buddisti recitano il Gongyo) canticchiare questa canzone:
Funziona, davvero;ma mi piace pensare che il merito più dei CSI fu del fagiolino che portavo in grembo.
Ieri l’ultimo capitolo: dato che il mio titolare si era auto-convinto che tornassi al lavoro a novembre, quindi alla fine della maternità obbligatoria; mi sono fatta coraggio e sono andata in azienda col pupo.
Dopo un’accoglienza gelida ho sentenziato: “Pensavo di tornare a maggio, perchè a Novembre il bimbo è troppo piccolo”
“Fa come vuoi”. Vedete, è bello sapere che al lavoro valete qualcosa, che mancate proprio se non ci siete e siete circondate da persone che provano sincero affetto per voi.
Si, va beh.
Tornerò a lavorare a maggio, con la consapevolezza che ogni volta che qualcosa che mi può ferire, mi basterà immaginare in suo sorrisino per ritrovare in un lampo la serenità.
Beh certo, se non basterà, avrò sempre i CSI dalla mia parte ; )