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Heya (部屋, The Room). Regia esceneggiatura: Sono Sion; fotografia:Otsuka Yuichirō, Miki Shigenori; montaggio:Ukai Kunihiko, Sono Sion; musica:Yamamoto Kosei, Okano Hiroki; suono:Okano Hiroki; interpreti: Maro Akaji, Dōguchi Yoriko, Sano Shirō, Takahashi Sayoko, Matsuda Masao, UchidaEiichi, Terashima Yuko; produzione: Yasuoka Takuji, Nakano Takayuri, Matsuoka Ryō; durata: 92’; anno: 1992; uscita nelle sale giapponesi: 18 gennaio1997.
Punteggio ★★★
Un anziano killer,sul viale del tramonto, è alla ricerca dell’appartamento perfetto. Piccolo maspazioso, silenzioso e ben isolato. Non ci è dato sapere quali siano le sueintenzioni e il perché di questa ricerca così oculata e meticolosa. Una giovaneagente immobiliare mostra, con pazienza e scrupolosità quasi robotica, varialloggi all’accigliato signore, ma nessuno pare rispondere alle caratteristicheda lui richieste. La soluzioneperfetta è raggiunta solo alla fine della storia.
Collocare The Room all’internodella filmografia di Sono Sion non è certo impresa facile, tanto questo piccolofilm abbonda di astrazione, oblio e sottrazione, rispetto alla messa in scenaquasi barocca di altri suoi più recenti lavori: da Suicide Circle aNoriko’s Dinner Table, da Strange Circus a Love Exposure. The Room,silenzioso, statico ed enigmatico, è anche, e soprattutto, la rappresentazionedel disagio del suo anziano protagonista, e di una vita sofferta della quale ciè dato conoscere assai poco. Un disagio che si avverte quasi solo attraverso lavizza espressione del suo stanco volto. I solchi lasciati dal tempo sui trattidel viso ed il suo sguardo impassibile, quasi apatico, si disperdono nelleambientazioni di un contesto urbano che pare ignorarlo e che lui stesso sembranon voler più sopportare. Molto di quelche si vede ricorda le scelte espressive di altri noti film indipendenti, comequell’Eraserhead di David Lynch chefece del silenzio e del bianconero contrastato e sgranato il suo straordinariomarchio di fabbrica.Un altro aspettofondamentale di The Room riguarda ilsuono che inghiotte gli spazi e i personaggi con i suoi fragori urbani, comeinterferenze che paiono procedere inesorabili ed incuranti del lento incedereumano. E così, se i dialoghi sono pochi, anche se piuttosto eccentrici, irumori creano una sorta di ‘muro risonante’ che va a riempire i silenzi lasciatidalle parole e che, assieme a immagini granulose, dirette ed essenziali,plasmano un immaginario visivo di sicuro impatto. Da notare, poi, come l’audiodi molti dialoghi sia sfalsato rispetto alla posizione dei personaggi nel pianodi ripresa: voci in primissimo piano possono, infatti, provenire da attorirelegati anche sullo sfondo del riquadro. Già dalle e prime inquadrature emergono dueimportanti caratteristiche del film: la fissità della macchina da presa e ilunghi silenzi. Ogni informazione appare superflua rispetto a quello che saràsvelato solo nell’epilogo: lo scopo del vecchio sicario alla ricerca di unacamera perfetta. Egli non ha nemmeno un nome. Non importa come si chiama, ma ciò che ha fatto (che col trascorrere dei minuti risulterà piùchiaro) e ciò che farà (l’estrema risoluzione del finale chiuderà, senzaappelli, il cerchio narrativo). Quasi del tutto assenti saranno i movimenti dimacchina e l’accompagnamento musicale. Allo spettatore arrivano solo i rumoridella presa diretta della strada degli ambienti, e, dunque, anche i silenzidelle case vuote visitate, di volta in volta, dai due protagonisti. La ricercadi un appartamento sembra essere l’unica cosa importante e che ha ancora unsenso. I momenti di trasferimento da una casa all’altra, in metropolitana o apiedi, non sono accompagnati quasi da nessun dialogo e da nessun particolare movimentodegli attori. All’interno dei vagoni della metropolitana, l’inquadratura e laposizione degli interpreti sono sempre molto simili. Gli unici dialoghiavvengono all’interno delle case visitate, quando la donna mostral’appartamento all’uomo e questi esprime la sua insoddisfazione. La fissità deipiani e la scarsità dei dialoghi rallentano i tempi della narrazione, che sianimano solo all’ingresso in ogni nuovo appartamento. L’iterazione di primi eprimissimi piani immersi nel silenzio esalta ogni minima espressione dei voltiinquadrati.
Un ruolo chiave nell’economia narrativa di The Room è assunto dal flash back cherivela l’identità di killer del protagonista. Si tratta, almeno per certiaspetti, dell’unica scena d’azione del film, che può ricordare, anche per ilsuo tono un po’ surrealista, certilavori di Suzuki Seijun e, più in generale, i film d’azione della Nikkatsudegli anni Sessanta. Ciò che questo flash back esplicita, costringe lospettatore a ripensare a tutto quel che ha visto sino a questo momento. Leimmagini sono accompagnate (come accade anche in altri momenti del film) dallavoce over del protagonista, inframmezzata da sospiri, sforzi e ansimi, tutti inuna sorta di primissimo piano sonoro. Un tessuto sonoro, questo, che si ritrovaanche nella scena in cui l’uomo incontra un suo presumibile collega, ancora piùavanti con gli anni. Scena che, come altre, è segnata da ambiguità eincertezze, quali il misterioso scambiodi valigette e, soprattutto, il timore che i due manifestano nei confronti deidefunti, quasi si sentissero metafisicamente perseguitati dalle ombre spettralidelle loro vittime senza pace. La frase che apriva il film può, forse, trovare ilsuo senso solamente nel finale senza scampo: «Aprile è stato il mese piùcrudele. Arrivederci, Ventesimo Secolo». [Fabio Rainelli]
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