Gheddafi è morto. I giornali riportano la notizia che il leader libico, nascosto in una buca come un topo, avrebbe urlato ai ribelli di non sparare. Altri sostengono invece che sia rimasto vittima di un bombardamento della Nato mentre cercava di muoversi da Sirte. Se davvero egli è stato ammazzato propendiamo per questa seconda versione, perché un leone non sbraita e non chiede pietà nemmeno al cospetto della falce. Altro che roditore! Tanto meno si sarebbe fatto intimorire dai vermi di Bengasi e di Misurata, dopo aver resistito per mesi sotto le bombe dei papponi vergognosamente unificati. Così se ne va l’uomo fiero che fino all’ultimo ha lottato per il suo paese, bagnando del suo sangue la terra della patria. Berlusconi ha commentato l’evento con una frase latina di circostanza, sic transit gloria mundi. E’ vero, le glorie del mondo passano ma restano l’esempio, la forza delle storie, il coraggio delle idee e la coerenza dei valori anche nelle avversità e nella tragedia. Di Gheddafi qualcosa vivrà per sempre, nella testa e nei cuori di chi non vuole piegarsi ad un mondo che afferma la sua prepotenza costruendo falsità e menzogne. Non stiamo santificando Gheddafi, in tal maniera non gli renderemmo quello che merita nel giorno del lutto. Egli era semplicemente un grande condottiero con tutte le contraddizioni dell’uomo di potere che per preservare la nazione ha commesso delitti ed ingiustizie ma in nome di principi superiori, portando benessere e prosperità al suo popolo. Questo perchè lo Stato non si dirige coi fiori e col fioretto, bensì con la spada ed il coltello tra i denti. In Libia come altrove. E di quelli che lo hanno ucciso cosa resterà? Lo sdegno, la viltà, l’ignominia, l’infamia di cui si sono macchiati per screditarlo prima ed eliminarlo poi. Qui lo commemoriamo stendendo sul suo ricordo il drappo dell’onore perchè hic sunt leones, qui ci sono i leoni e non le scimmie ammaestrate o le bestie in gabbia.
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