Higglety Pigglety Pop! or There Must Be More to Life

Creato il 22 ottobre 2012 da Eraserhead
Da cosa nasce cosa: Spike Jonze riamane – a ragione – favorevolmente impressionato da Madame Tutli-Putli (2007) e, nel bel mezzo della promozione di Synecdoche, New York (2008) in cui ricopriva le vesti di produttore, contatta Lavis e Szczerbowski proponendo loro di adattare in un cortometraggio un racconto breve di Maurice Sendak, la mente dietro Nel paese delle creature selvagge. Il duo opta per Higglety Pigglety Pop!, libro per bambini scritto nel 1967 che racconta le gesta della cagnolina Jennie stufa della propria esistenza ed arciconvinta che là fuori debba esserci più vita. La voce di Jennie è quella di Meryl Streep che inizialmente non doveva far parte del progetto ma siccome in passato fu lettrice ufficiale del testo di Sendak, alla proposta dei due canadesi il suo sì è arrivato di buon grado.
A primissima vista questo titolo così lungo condivide con il film precedente una sorta di allitterazione lessicale, uno scioglilingua che dichiara seduta stante la propria cifra ludica. Inoltre è l’estetica ad avvicinare le due opere scolpite in una nuova forma di stop-motion che porta in trionfo la cura del particolare, la quale a sua volta obbliga a soffermarsi, o a ripassare, su ogni singolo tassello del mosaico perché solo così si potranno cogliere le sfiziose sottigliezze. Lavorando su una pietra non contrassegnata dalla loro paternità, ai registi viene un po’ meno la riuscita concettuale del corto che lascia tra le pieghe del narrato un che di inespresso, di leggermente incompleto. Si fa sentire la mancanza di una concatenazione che legittimi il collegamento tra lo scopo (diventare la “prima donna” del teatro) e il mezzo (fare da balia ad un bebè molto particolare). Se il discorso del teatro=rappresentazione era un obiettivo da raggiungere, d’altronde ciò che Jennie fa è una esperienza di vita ma allo stesso tempo un provino per entrare nello Spettacolo, l’impressione è che ci si sia fermati qualche metro prima senza avere il coraggio di infilarsi nelle fertili fenditure metafilmiche, ammesso che ciò fosse davvero un cruccio dei due animatori e ancor più ammesso che per un “cartone” di neanche mezz’ora sia necessario rintracciare una qualsivoglia firma autoriale per farselo piacere.
E difatti aldilà di congetture barbose e insipide come quelle soprastanti, il film è pur sempre un tonificante per la vista, e a questo punto da Lavis e Szczerbowski è doveroso attendersi un passo avanti: l’ora del lungometraggio è quasi scoccata, magari sempre sotto l’egida di Jonze, magari partendo da un soggetto tutta farina del loro sacco.

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