giovedì 1 marzo 2012 di Rosita Baiamonte
Ad esempio, è notizia recente quella di una donna giapponese invalida che ha rifiutato di farsi pagare una pensione d’invalidità dallo stato. Strano, assurdo, incredibile.
Sì, per noi che viviamo in un mondo popolato da falsi invalidi con pensioni d’oro, è un bel po’ strano.
Tuttavia, il Giappone è sempre fonte d’ispirazione, sia nel bene che ne male.
Nasce in Giappone il fenomeno Hikikomori, che è a tutti gli effetti una sindrome che colpisce soprattutto gli adolescenti, un fenomeno che, fino a qualche anno fa, sembrava non aver colpito l’Italia, ma che invece negli ultimi anni pare essere sbarcato anche da noi, quasi fosse una moda.
L’hikikomori è un ragazzo che a un certo punto della sua esistenza decide di isolarsi dal mondo e dalla realtà che lo circonda, si chiude in camera e lì passa le sue giornate. La camera diventa il luogo fisico, dove egli conduce la sua vita, luogo che a poco a poco si ammassa di oggetti, di resti di cibo, di sporcizia, di polvere, quasi come se gli oggetti diventassero essi stessi hikikomori e non potessero più uscire da quel luogo, così come chi li possiede. Oggetti che, in qualche modo, lo riportano in quella realtà che egli vive e osserva solo attraverso un computer.
Egli vive di notte, di giorno oscura le finestre, odia la luce. La notte si rifugia nei social network, nei forum, dove incontra altri hikkikomori come lui, creando quasi una rete. Un po’ come accadeva qualche anno fa (ma forse accade ancora), con le adepte di Ana, la dea dell’anoressia, fenomeno quanto mai preoccupante che vedeva coinvolte centinaia di ragazze che, da un giorno all’altro, avevano messo su una rete di blog dove si scambiavano consigli su come dimagrire in fretta e su come essere sempre fedeli ad Ana (e guai a sgarrare!).
Alienante.
L’ikikomori trasferisce nello spazio angusto della sua camera tutta la forza e l’onnipotenza che non riesce ad avere fuori da lì, nella vita vera, quasi come se vivesse dentro un videogioco dove egli è l’eroe, e in quello spazio l’hikkikomori crea, inventa, scrive, produce.
In Giappone il fenomeno è in fortissima espansione; si contano già più di un milione di casi.
Uscire dall’isolamento è difficile se non impossibile, curare dei soggetti in hikikomori è un’ardua impresa, perché rifiutano di lasciare il loro habitat e nessuno riesce a raggiungerli. Inoltre, aspetto da non trascurare è la non volontà di tornare a un’esistenza normale, perché la loro è una scelta, è un’auto esclusione dalla vita.
L’hikkikomori smette di avere bisogni pratici, non si cura di sé, del suo aspetto fisico, il suo unico bisogno è quello di espandersi mentalmente attraverso la rete, attraverso la scrittura, la pittura, la creatività.
La cosa realmente preoccupante di questo fenomeno è che l’hikkikomori finisce con l’appassire, perché si nega al sole, alla luce, ai rapporti sociali, e piano piano, deperisce e muore.
Sì, l’hikikomori è un alienato, non per natura, ma per scelta, sebbene esistano delle cause scatenanti che portano il soggetto a voler fuggire dalla realtà; ad esempio, soggetti che per natura molto timidi o che sono costantemente oggetto di scherno da parte dei coetanei sviluppano una forma di repulsione e di rifiuto verso quella società che, di fatto, ride di lui.
Tuttavia, non bisogna relegare il fenomeno a semplice apatia o forma acuta di timidezza. È qualcosa di più, è come un morbo che pian piano si espande a macchia d’olio e che sta coinvolgendo sempre più paesi, compresa l’Italia, anche se in forme diverse.
Secondo alcuni psicoterapeuti, come la Dott. Carla Ricci, autrice del libro: “Hikikomori: adolescenti, volontà di reclusioni”, il fenomeno in Italia ha preso una piega diversa e presenta dei lati meno feroci, ad esempio l’isolamento non è quasi mai totale: gli hikikomori italiani, a differenza dei giapponesi, accettano di consumare i pasti coi genitori, e di vedere, di tanto in tanto, un amico con cui passare delle ore. Questo è dovuto anche a una differente organizzazione della società e della famiglia rispetto al Giappone, dove il fenomeno è visto dalla società come un’onta e qualcosa da nascondere, per cui le famiglie non se ne preoccupano e preferiscono, anzi, agevolare l’esclusione dell’adolescente nel tentativo di nasconderlo al mondo.
Tuttavia il fenomeno italiano, pur essendo ancora marginale, desta già preoccupazione; sempre più genitori lamentano nei loro figli una sorta di apatia e di disinteresse verso tutto, per cui sempre più spesso gli adolescenti vengono affidati alle cure di psicoterapeuti e questo, in qualche modo, fa da argine a una degenerazione della patologia.
Quanti di noi non hanno attorno amici che passano la maggior parte della loro vita davanti a un pc? Che se gli chiedi: ehi, usciamo a farci una pizza? Ti rispondono: no, devo ultimare il livello, di non so quale diavolo di gioco di ruolo! Ce ne preoccupiamo? Avvertiamo che anche noi spesso ci lasciamo andare a momenti di tremenda apatia, che ci risucchia le energie e ci spegne?
Ho idea che questo fenomeno sia lontano dall’arrestarsi, magari non sfocerà mai nelle forme di totale reclusione, ma sicuramente le nuove generazioni si stanno sempre più alienando, e sempre più spesso si rifugiano in un mondo a parte, dove si sentono eroi, insuperabili, onnipotenti, anche se in realtà, sono fragili e indifesi.
E voi che ne pensate? Credete sia la solita moda esportata dal Giappone o è qualcosa che accomuna tutti gli adolescenti del mondo a prescindere dal paese? E credete che la tecnologia abbia esacerbato il fenomeno?
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