Un nuovo articolo della pedagogista Cristina Cattini.
“…Tu sola dentro la stanza e tutto il mondo fuori…” Vasco Rossi
Rimango all’interno del mondo delle esigenze speciali raccontandovi questa volta di un fenomeno nato in Oriente e che inizia ad affacciarsi pure in Italia, anche se con modalità culturali e sociali molto diverse.
Il ragazzo hikikomori sceglie di isolarsi nella propria camera, luogo sicuro e protetto e i rapporti con l’esterno vengono mantenuti quasi solamente attraverso i mezzi tecnologici, computer in primis e grazie alla famiglia che passa cibo e quant’altro dalla porta.
Nella lingua giapponese il termine hikikomori è composto da due vocaboli: hiku (indietreggiare) e komoru (isolarsi).
Sebbene sia un gesto che compiono anche le ragazze, l’80% degli hikikomori è maschio fra i 13 e i 14 anni; in Giappone il 2% della popolazione adolescenziale sceglie l’autosequestro e il fenomeno si va estendendo verso la Corea, gli Stati Uniti, il nord Europa e appunto l’Italia.
Perché la reclusione volontaria?
In Giappone esiste una cultura comunitaria molto solida nella quale l’individuo e il suo personale successo sono condizioni essenziali per il buon funzionamento della comunità. Le aspettative elevatissime possono incrinare il già fragile equilibrio dell’adolescente, il quale dinanzi ad esperienze negative come ad esempio un fallimento scolastico, la solitudine o episodi di bullismo può iniziare a provare sentimenti di impotenza, depressione e incapacità, scegliendo così di rifugiarsi in un posto sicuro. Il mondo è certamente più rassicurante se visto attraverso la finestra o il video di un pc.
Nonostante l’uso di internet e dei videogiochi siano una caratteristica importante dell’hikikomori, non si può comunque parlare di dipendenza da internet e da gioco, in quanto si tratta appunto di un fenomeno puramente sociale di ritiro da un mondo che il ragazzo giudica troppo difficile e umiliante.
E in Italia?
Anche in Europa si possono trovare fenomeni simili, seppur in una cultura abbastanza diversa da quella nipponica. I genitori giapponesi infatti allevano i figli perché poi si occupino di loro in vecchiaia e capita quindi che a 40 anni e oltre i figli siano ancora nella casa paterna.
In Italia l’idea di autonomia che si riconosce al figlio è molto diversa, anche se ora altri fattori incidono sulla minore indipendenza dei ragazzi.
In ogni caso la spinta all’autonomia, alla scelta, alla assunzione di responsabilità e il porsi come adulti consapevoli e presenti, in una relazione profonda ma non assoluta aiuta molto gli adolescenti a proteggersi dalla tentazione di chiudersi in loro stessi e a reagire, divenendo protagonisti della loro vita.
Pure in Italia tuttavia c’è una crescente richiesta di aiuto specialistico per quanto riguarda i fenomeno dell’hikikomori.
I ragazzi si ritirano dal mondo e si rifugiano in camera dove il mondo virtuale sostituisce quello reale per vergogna narcisistica. Lo scarto tra il loro desiderato e il reale è troppo forte, anche a causa delle eccessive aspettative dei genitori. Ma mentre i ragazzi giapponesi fuggono da regole troppo severe, i nostri scappano dall’incapacità di gestire relazioni di gruppo (Antonio Piotti, istituto Minotauro, Milano).
Ormai diverse volte mi è capitato a livello professionale di incontrare adolescenti in fuga da un mondo duro e poco comprensivo, spesso per nulla rispettoso della fragilità dei ragazzi che si trasforma in una esigenza davvero speciale di ascolto, complicità, solidarietà e protezione.
Questo implica una presenza attenta, non superficiale, positiva e libera da parte dei genitori e degli altri adulti coinvolti nell’educazione.
I nostri adolescenti hanno bisogno di accettazione e benevolenza, soprattutto nei momenti di maggiore cambiamento e passaggio, quando i punti di riferimento vanno ricreati e aumenta la richiesta di autonomia. Ad esempio il passaggio dalle scuole medie alle superiori, così come dinanzi a episodi di sofferenza che magari si colgono in ritardo. La cronaca ci sta purtroppo abituando ai funzionamenti carsici dei ragazzi: apparentemente va tutto bene fino a quando un evento particolarmente pesante porta alla luce un dolore fino ad allora mai percepito e quindi accolto, spesso comunicato attraverso i social network.
Il pianeta adolescenza non è per nulla di facile gestione, ma l’esserci da parte dell’adulto aiuta il giovane a rimanere, ad aver meno voglia di ritirarsi disarmato ed inerme da realtà sovente molto difficili e complesse.
a cura della dott.ssa Cristina Cattini, pedagogista e mediatrice Feuerstein
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