di Michele Marsonet. Nessuna sorpresa, Hillary Rodham Clinton aveva fatto trapelare con abilità il suo desiderio di candidarsi alla Casa Bianca e la conferma è puntualmente giunta. Questa volta, memore delle critiche ricevute dopo la sconfitta che le inflisse Obama nelle primarie democratiche, ha scelto toni più umili ricorrendo soprattutto a internet e social network.
Notiamo innanzitutto che il personaggio è piuttosto controverso negli stessi Stati Uniti. Riscuote ammirazione in parte dell’elettorato, anche se è difficile ora valutarne la consistenza numerica, e al contempo risulta antipatica a un’altra parte degli elettori (e non soltanto a quelli repubblicani e conservatori). Anche quando parla con modestia ha sempre avuto l’aria da “prima della classe”, fattore che non giova certo alla sua immagine.
Bisogna anche riconoscere, però, che ha un carattere d’acciaio, il quale riflette un’ambizione smisurata. Sul piano personale ha retto con pubblica disinvoltura – e malessere privato – la divulgazione delle avventure extraconiugali del marito, al tempo Presidente. E – cosa non da poco – è riuscita a sconfiggere la grave malattia che l’aveva colpita. L’apparenza tutto sommato fragile nasconde dunque un carattere fortissimo, determinato sino a sfiorare spesso l’ostinazione.
Hillary Rodham è sempre stata convinta che spetti a lei diventare il primo Presidente donna della storia USA. E’ ovvio che prima o poi nello Studio Ovale siederà una persona di sesso femminile, com’è giusto che sia. Sarebbe tuttavia un caso eccezionale se, in un così breve volgere di tempo, ci ritrovassimo con il primo Presidente nero e il primo Presidente donna in stretta successione. Ma può succedere, viste le circostanze: com’è noto la storia è imprevedibile.
A favore di Hillary Rodham giocano alcuni fattori. In primo luogo l’assenza, almeno per ora, di candidati davvero forti nel campo democratico. Allo stato dei fatti non c’è sulla scena qualcuno che possa darle sul serio fastidio. Però attenzione, neanche Barack Obama sembrava in grado di infastidirla all’epoca delle primarie, e poi si è visto com’è finita. La ex Segretario di Stato aveva dalla sua l’apparato del partito e parecchi potentati finanziari, proiettando così l’immagine di potere forte e di predestinata alla vittoria. Obama condusse una campagna più modesta e alla fine la spuntò.
Inoltre è assai più conosciuta dal grande pubblico degli altri candidati, già in corsa o potenziali, e tanto democratici quanto repubblicani. In quest’ultimo campo sembra sicuro di scendere in campo il terzo dei Bush, Jeb. Non è però notissimo avendo avuto quale unico incarico di peso quello di governatore della Florida (e la famiglia Bush è meno popolare di un tempo negli USA per motivi noti). Lascerei perdere anche l’età. Se dovesse vincere, Hillary diventerebbe Presidente a 68 anni, ma gli americani non hanno mai avuto in mente concetti di “rottamazione” nel senso di Matteo Renzi. Ronald Reagan fu eletto a 70 anni e rimase in carica fino a 78. Potrebbe invece nuocerle il fatto di essere moglie di Bill Clinton, che fu un Presidente abile e popolare, ma pure incline alle gaffe.
Venendo ora alla sostanza, possiamo chiederci che Presidente sarebbe Hillary Rodham, e qui dobbiamo basarci su ciò che fatto in passato. Sul piano interno continuerebbe certamente la politica economica espansiva di Obama che ha dato buoni risultati (al contrario del rigore senza eccezioni praticato nell’Unione Europea). Avrebbe un occhio di riguardo per le minoranze e, soprattutto, si batterebbe molto per la parità di genere che a suo parere negli Stati Uniti non è ancora stata realizzata completamente.
Il punto dolente, a mio avviso, è la politica estera nella quale ha già avuto modo di operare. Hillary Rodham è convinta che gli USA, più che alla forza militare, debbano ricorrere al “soft power” di cui dispongono in abbondanza. E sin qui nulla da dire. Tutti rammentano, tuttavia, la gestione disastrosa della vicenda libica, l’eccessiva fiducia nelle primavere arabe, la frettolosa apertura alla Fratellanza musulmana in Egitto. E, con una punta di malizia, osservo anche che Obama ha conseguito in politica estera i risultati più eclatanti (accordo con l’Iran, apertura a Cuba) proprio quando lei non era più Segretario di Stato.
Piccola nota finale. Hillary Rodham Clinton non ha mai rinunciato all’idea di esportare la democrazia, sia pure con metodi assai diversi rispetto, per esempio, a quelli dei due Bush. Nessun intervento armato, ma la convinzione che gli USA possano esportare il loro sistema politico e stile di vita nel mondo intero convincendo gli altri che sono i migliori. Anzi, la convinzione neppure è necessaria poiché in sostanza il modello americano s’impone da solo, soprattutto in virtù della sua efficacia pratica. E qui è opportuno manifestare qualche ragionevole dubbio – del resto desunto dall’esperienza – circa l’effettiva opportunità di tale “esportazione”, soft o hard che sia.
Featured image, Hillary Clinton.