A Modena una mostra del fotografo giapponese
di Gaetano Vallini«Il giorno in cui l’uomo realizzerà il desiderio profondo di fermare il tempo si sta avvicinando inesorabilmente. Il tempo esiste unicamente grazie alla percezione umana; e dunque solo quando l’umanità sarà scomparsa dalla faccia della terra potremo dire davvero di aver fermato lo scorrere del tempo. Non ci vorrà molto». Non si può certo dire che Hiroshi Sugimoto, classe 1948, tra i più autorevoli interpreti della fotografia contemporanea internazionale, sia un ottimista. Ma queste affermazioni vanno lette alla luce della sua intera opera, che è stata una continua indagine sul tempo, concetto astratto, difficile da afferrare, ma proprio per questo affascinante per un artista che essenzialmente ferma attimi. Perché catturarlo, sia pure per un istante infinitesimo, nella sua visione è parte del desiderio dell’uomo di arrestare lo scorrere del tempo. Una ricerca sempre in divenire, quella di Sugimoto, il cui risultato è condensato in una mostra antologica intitolata significativamente Stop Time allestita fino al 7 giugno dalla Fondazione Fotografia Modena negli spazi espositivi del Foro Boario. Un itinerario essenziale, con appena una quarantina di grandi, raffinate stampe, curato dal direttore della fondazione Filippo Maggia, che dà il senso di un percorso artistico alimentato dalla continua sperimentazione di linguaggi e tecniche.
"Bay of Sagami, Atami" (1997) - In alto, "Birds of the Alps" (2012)
«La fotografia fu inventata per soddisfare un’esigenza e un desiderio dell’uomo» sostiene ancora l’artista nel testo scritto per il catalogo della mostra (Milano, Skira, 2015, pagine 118, euro 44). E aggiunge che da quasi 180 anni è essa «a determinare il modo in cui l’uomo guarda la propria storia e percepisce il mondo; grazie alla fotografia, la nostra storia collettiva è stata immortalata, archiviata e ripetutamente passata al vaglio fino alla banalizzazione, tanto da poter dire quasi che, da allora, la storia è “vera storia” solo dopo che la fotografia ha svolto la sua parte». Una lettura, questa, indubbiamente forte e tuttavia in contraddizione con l’opera di un fotografo che nei suoi scatti non ha mai cercato l’istante decisivo, semmai tracce di storia rintracciabili in un frammento di tempo presente. E forse non è un caso che Sugimoto prima di diventare fotografo avesse svolto un’altra professione, quella dell’antiquario, mestiere che ha molto a che fare con la storia e, dunque, con il tempo e il suo fluire. Per questo probabilmente dalla metà degli Settanta ritrae soggetti che ricreano o replicano momenti di un passato distante e luoghi geograficamente lontani, criticando la presunta capacità della fotografia di ritrarre la storia con accuratezza. Un’impostazione concettuale alla quale l’artista unisce un rigore metodologico tipicamente orientale: la perfezione delle stampe è il risultato di un lavoro imponente, che va dall’ampia ricerca preliminare all’uso di fotocamere di grande formato, dalle tradizionali tecniche del bianco e nero all’utilizzo di carta pregiata. Sugimoto, che ha lasciato il Giappone nel 1970 per studiare a Los Angeles in un periodo dominato dal minimalismo e dall’arte concettuale, ha via via individuato soggetti di particolare profondità per la sua ricerca, tornando ciclicamente a rivisitarli. Rivelando così una passione rigorosa per la serialità, che lo ha portato a organizzare il suo lavoro in sezioni definite e omogenee."Lightning Fields 225" (2009)
La mostra di Modena dà conto delle più importanti: dai rarefatti orizzonti marini della serie Seascapes — il mare aperto gli appare come l’unico paesaggio immutabile nel tempo, identico a se stesso perché svuotato di storia — ai Theaters ripresi con tempi d’esposizione lunghissimi per raccogliere un flusso di immagini che alla fine si risolve nel bianco abbacinante dello schermo; dai Dioramas realizzati nei musei di storia naturale con lo scopo di esaltare il voler essere vero per renderlo reale, fino alle recenti fotografie “fuori fuoco” di Modern Times dedicate alle icone dell’architettura modernista in cui il soggetto appare indefinito, per consegnarle alla storia esprimendone però anche la fragilità, e con essa l’illusoria utopia della modernità e delle sue avanguardie. Il percorso comprende inoltre alcuni famosi Portraits, ritratti di personaggi storici in cera dei quali offre una rappresentazione quasi pittorica, i Photogenic Drawings, ricavati rifotografando i negativi di William Henry Fox Talbot (1800-1877) e colorandone le successive stampe, e i Lightning Fields, ottenuti imprimendo sulla pellicola una scarica elettrica da quattrocentomila volt con un generatore Van de Graaff. Alle fotografie, inoltre, si aggiunge per la prima volta la presentazione delle cinquantuno monografie dedicate all’artista pubblicate in tutto il mondo dal 1977 al 2014.«L’approccio dell’artista — commenta il curatore Filippo Maggia — è meditabondo, lento, giustamente prudente: d’altronde, per sentire il tempo occorre averne piena coscienza e rispetto». Ed è lo stesso spirito che viene richiesto al visitatore, per cogliere ciò che Sugimoto suggerisce di vedere attraverso la mediazione del suo sguardo. Con la consapevolezza, tuttavia, che la sua carriera è stata anche un’incessante sfida alle potenzialità che la fotografia offre nell’interpretazione del mondo.(©L'Osservatore Romano – 11 aprile 2015)