La carriera del regista inglese, infatti, è ormai segnata dalla sua presenza televisiva, della quale - nonostante i significativi benefici finanziari - in termini artistici l'uomo sembra più soffrire che godere. Anche l'ispirazione viene meno e abbozzare il soggetto per un nuovo film, con l'incombere spettrale e chiassoso dal successo di Intrigo internazionale (1959), è operazione che costa a Hitchcock molta pena. Solo quando s'imbatte nel romanzo di Robert Block sullo psicopatico serial killer Norman Bates l'uomo in crisi non ha più dubbi: il problema, semmai, è che sono altri a tirare i freni: a destare scandalo e preoccupazioni era soprattutto la sceneggiatura - di Joseph Stephano - per quei tempi piuttosto problematica, in quanto prevedeva scene raccapriccianti e pruriginose, che la censura non avrebbe approvato e la produzione si sarebbe ben guardata dal promuovere, almeno rispetto al successo sicuro e facile dei film "di" Jerry Lewis (e, in realtà, con Jerry Lewis). Sembrava infatti che il prossimo Cinderella dell'inarrestabile genio comico.- più volte usato quale pietra di paragone - fosse una garanzia di gran lunga maggiore dell'oscuro e morboso inconscio fantastico di Hitchcock.
La censura e gli organismi di controllo appaiono qui vili e ipocriti, incapaci di scegliere secondo un criterio obiettivo, sia esso etico o artistico, ma preoccupati solo dalle reazioni del pubblico (siamo in piena età Eisenhower, prima testimone di Geova e poi presbiteriano, sebbene il presidente-generale repubblicano sia in fase di uscita in favore della brevissima era Kennedy). Hitchcock, per parte sua, piuttosto sornione e sanguigno, nonostante l'aria aristocratica e altera, sembra riuscire a scalzare - e anzi a martellare - le contrarietà e forza di ironia pubblica e urgenze private. Incubi notturni e febbrili e scricchiolii della coppia funzionano come cassa di risonanza di una storia - quella di Psycho - che, a dire di Sacha Gervasi (sceneggiatore di The Terminal), è molto più autobiografica di quanto si pensi, almeno in termini di immaginario. Non sarebbe, dunque, solo una dichiarazione di estetica - del resto piuttosto contro corrente - il proclama di Hitchcock ai suoi attori sul set del suo incontrastato capolavoro:
La mia cinepresa vi dirà la verità, l'assoluta verità.
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