La seconda serata di Sanremo si apre con i giovani. Quattro delle otto «nuove proposte» a confronto: KuTso contro Kaligola, Enrico Nigiotti contro Chanty; incontro secco, devono restarne due che torneranno a battersi per il titolo venerdì.
I KuTso battono il “rap” di Kaligola con pieno merito. A loro modo dissacranti rispetto all'atmosfera e all'appeal del Festival, i ragazzi portano un minimo di freschezza. Forse la loro demenzialità rock resta in buona parte superficiale e non troppo interessante, ma è molto meglio dell'ingessato conformismo musicale visto fin'ora. Kaligola ci prova a fare il “duro col cuore d'oro” e a fare il cantastorie che riscatta i barboni di periferia, ma dovrebbe pensare piuttosto a farsi un tour de force di metrica, groove e interpretazione.
Enrico Nigiotti, con uno scarto minimo, manda a casa Chanty. Difficile stabilire chi avrebbe meritato di più. Il motivo dell'ex fuoruscito di Amici potrebbe anche funzionare, peccato che il testo sia della solita disarmante banalità e che anche il canto sia sotto la sufficienza. Lei dal canto suo potrebbe vantare dalla sua una voce più calda, densa di soul e jazz, ma tutto questo si perde in un'altra performance poco incisiva. Chanty i numeri potrebbe pure averli, domanda forse un po' troppo a sé stessa e al suo potenziale vocale. Il risultato non è né carne né pesce.
Anna Tatangelo, Marco Masini, Raf, Irene Grandi, Bianca Atzei e Lorenzo Fragola restano nella media (bassa, infima). Questa leggerezza romanticona e melodica degli standard tanto amati dal pubblico di Sanremo è veramente dura a morire. Una leggerezza talmente leggera da essere impalpabile, non foss'altro che per l'ancora troppo evidente banalità che la fa balzare agli occhi. A Bianca Atzei un solo merito: nel suo pezzo si è risentito soleggiare – per pochi secondi, ahimé – il chitarrista dell'orchesta.
Moreno, il “rapper” in giacca e papillon, non convince neanche per sbaglio. Patetico il suo rapping, da ridere la sua metrica da quanto è semplificata, i contenuti poi sono noiosi e scontati. Chiudiamo gli occhi su quando “canta” davvero. E anche sul saluto yo, bro col direttore d'orchestra.
Il Volo sono un incubo divenuto realtà: avevo sempre temuto che alcuni dei lattanti sulla passarella musicale e televisiva della Rai (Ti lascio una canzone 2009) potessero, a distanza di tempo, mettere su un gruppo sfruttando la piccola e bambinesca notorietà acquisita. Proposta manco a dirlo scontata e che può al massimo emozionare quei tv-dipendenti che amano le favole.
Poi ci sono gli altri due miracolati del piccolo e del grande schermo, Biggio & Mandelli. Ora, se in televisione non era lecito chiedere troppo – ricordiamoci che il duo ha fatto dell'idiozia la propria bandiera e il proprio marchio – sul palco del Festival della Canzone italiana era lecito aspettarsi qualcosa di meglio della solita fanfara pseudo-umoristica sulla dura vita dell'italiano medio. Come se non bastasse a Biggio scappa la trombetta con cui avrebbe dovuto auto-censurarsi un turpiloquio. Certo, ci crederemo. Buona rivoluzione, comunque.
A fine serata un piccolo, appena accennato sorriso ci è concesso. Esiste una giustizia da qualche parte, forse. Sono la Atzei, Biggio & Mandelli, Moreno e Anna Tatangelo i nomi che la giuria – ancora una volta equamente suddivisi tra sala stampa e televoto – condanna alla “zona rossa”, quella in cui iniziano a squillare i campanelli di allarme. Barlumi di buonsenso? Non mi farei troppe illusioni, ma chissà. Intanto mettiamolo agli atti.
doc. NEMO
@twitTagli
(Crediti foto: ANSA.it)