Guardo ll Nautica nero: le lancette segnano le dodici-diciannove-e-nove-secondi di un giorno lavorativo qualsiasi.
Preciso come l’esattore delle tasse, il mio orologio scandisce inesorabile la somma degli attimi appena passati. In ufficio, poi, il tempo corre più veloce di Usain Bolt: gli impegni si susseguono, il telefono squilla, le riunioni incalzano, le attività si accumulano e le giornate scivolano via come la sabbia tra le dita.
La macchinetta del caffè sforna bevande a ritmo insistente ed i colleghi corrono per i corridoi con improbabili appunti tra le mani ed il badge elettronico che pende dal collo stile “Houston, abbiamo un problema”.
All’improvviso scatta la scintilla e con la mente parto per un destinazione ignota.
Fuori il mondo procede con la solita, folle corsa. I grandi della Terra decidono le sorti del Pianeta ed individui comuni calpestano gli escrementi dei cani non raccolti dai padroni incivili. Osservo le nuvole viaggiare sospinte dal dolce vento primaverile, il contrasto tra il verde irlandese della collina e l’azzurro del cielo pulito dalla pioggia, gli uccelli si inseguono i gioiosi ed un vociare allegro giunge dalla scuola media posta difronte l’ufficio.
Un freddo bip del computer spezza il sogno e bruscamente atterro sulla sedia.
L’illusione è terminata, è durata un attimo o forse un’eternità?
Con un gesto meccanico guardo di nuovo il mio Nautica nero: sono ancora le dodici-diciannove-e-nove-secondi di un giorno lavorativo qualsiasi.
«Ho fermato il tempo» farfuglio appagato.
Sono di nuovo pronto per affrontare la Vita (e cambiare la pila scarica del mio Nautica nero).
MMo