Ho già dato, grazie

Creato il 03 dicembre 2012 da Marina Viola @marinaviola

Sei anni fa, quando sono entrara in ospedale a Brooklyn, NY per partorire la mia terza figlia, ero tranquilla. Oddio, avevo sempre dentro di me il terrore che anche lei, come suo fratello, avrebbe potuto avere degli handicap. Ero andata da un medico che si occupa di genetica, al mio terzo mese, il quale aveva condiviso con me dei dati abbastanza allarmanti: se si ha un figlio handicappato, si entra automaticamente nella ‘categoria a rischio’. Ero andata con la mia amica Lara all’appuntamento, per sentire le statistiche, per sentirmi chiedere, se la sente di andare avanti con questa gravidanza? Certo, risposi, stringendo la mano della mia amica.Ma poi quel giorno di dicembre quando sentii la prima contrazione, la voglia di conoscere questa mia bimba era talmente forte che quasi mi dimenticai di questa semi remota possibilità.Fu un parto difficile, dovuto anche agli errori dell’ostetrica, che infatti nel momento in cui la testa di Emma era già fuori dalla mia vagina, lei la strappò con forza, inducendola a urlare “ Call the code! Call the code!”. La stanza si riempì di gente, e dopo qualche istante sentii il primo vagiro di Emma: me la misero tra le braccia per un secondo prima di portarla in terapia intensiva, per vedere i danni provocati dallo strappo violento dell’ostetrica.Le ruppe dei tendini del collo. Due ore dopo ero già davanti a un neurologo infantile che mi disse che il braccio destro di Emma sarebbe stato compromesso. “A volte la fisioterapia aiuta. A volte, spesso, no”.Iniziarono così le mille visite da medici, le terapiste, le visite di controllo, i ‘vediamo tra sei mesi’ dei medici, le risonanze magnetiche traumatizzanti, le paure. E infine, qualche mese fa, la fatidica frase: “È da operare. Trapianto dei tendini, sei settimane di gesso al braccio fino al bacino. Terapia post operatoria’. Io avevo da poco finito il tran tran di diagnosi, terapie, operazioni. Traumi. Ferite indelebili. Il neurologo, l’ostetrica, la fisioterapista nell'ospedale di Brooklyn non avevano ovviamente la più pallida idea del mio passato, non sapevano che io avevo già dato, che non avrei potuto più sopportare niente del genere. Volevo la mia bimba normale, come quella che aveva signora con cui dividevo la stanza. Invece no. Diagnosi, terapie, stress, tensioni, paure.Dopodomani viene operata Emma, come era stato, più volte, operato suo fratello.Per cui:ansia,alzatacce alla mattina presto, senza colazione perché l’anestesia si fa a stomaco vuoto,attese nella sala d’aspetto fuori la sala operatoria,
accompagnamenti in sala operatoria con il peluche,terapie,figli in pena,notti insonne prima dell’operazione,solitudini,traumi,insicurezze,pacche sulle spalle,infermiere troppo gentili,flebo,stanze post-operatorie,terrore,settimane di antidolorifici,vomiti al cesso indotti dalla paura,amici che non capiscono un cazzo e che ti dicono vedrai che poi va tutto bene,incubi,litigate con Dan per la tensione,ansia di lasciare Luca a qualcuno che non sa come gestirlo,gelosie e paura di Sofia,visite di controllo,speranze che vada bene ma non sai mai,telefonate per dover spiegare,notti insonne in ospedale,pianti di bimbi: mi avete rotto il cazzo. Io ho già dato, e non ho voglia di riaprire quel capitolo di merda della mia vita.
Grazie.

Potrebbero interessarti anche :

Possono interessarti anche questi articoli :