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Ho letto: Che la festa cominci

Creato il 25 marzo 2010 da Jolanda
Ho letto: Che la festa cominci

Che la festa cominci - Niccolò Ammaniti

Mi è piaciuto.
Ammaniti deve essere un tipo un bel po’ particolare per pensare e scrivere trame simili, ma comunque il libro è divertente.
L’autore scrive benissimo (e non sto a ripetere quanto conti questo per me). La trama, nella sua assurdità e demenzialità, è assolutamente spassosa.

Appena finito, l’ho passato alla dolce metà che ora lo legge prima di addormentarsi la sera. Alle volte lo becco che ride da solo…
Insomma se non vi spaventano le storie demenziali, un po’ assurde e decisamente sopra le righe, dovete leggerlo.

Consigliato per chi si vuole tirar su il morale: tranquilli, c’è sempre qualcuno che sta peggio di voi!

Per chi fosse interessata, incollo qui sotto una descrizione e una recensione del libro (presa da IBS).

Descrizione
Nel cuore di Roma, il palazzinaro Sasà Chiatti organizza nella sua nuova residenza di Villa Ada una festa che dovrà essere ricordata come il più grande evento mondano nella storia della nostra Repubblica. Tra cuochi bulgari, battitori neri reclutati alla stazione Termini, chirurghi estetici, attricette, calciatori, tigri, elefanti, il grande evento vedrà il noto scrittore Fabrizio Ciba e le Belve di Abaddon, una sgangherata setta satanica di Oriolo Romano, inghiottiti in un’avventura dove eroi e comparse daranno vita a una grandiosa e scatenata commedia umana. La comicità di Ammaniti sa cogliere i vizi e le poche virtù della nostra epoca. E nel sorriso che non abbandona nel corso di tutta la lettura annegano ideali e sentimenti. E soli, alla fine, galleggiano i resti di una civiltà fatua e sfiancata. Incapace di prendere sul serio anche la propria rovina.

La recensione di IBS
Il riso è amaro, dall’inizio alla fine del racconto. I personaggi sono grotteschi, ampollosi e tragici, e la storia nasce da una mente alterata e febbricitante. Le opinioni non possono che dividersi: la poetica di Niccolò Ammaniti o viene affrontata con un sorriso leggero, come una storia che non può stare in piedi, oppure si affronta per quello che è: il riflesso distorto della realtà, eccessivo, eccitato e funebre.
Dopo la consacrazione ottenuta da grandi successi come Io non ho paura, Ti prendo e ti porto via e Come Dio comanda, Ammaniti torna alle atmosfere grottesche e torbide di Fango (Mondadori, 1999), dove la metafora di una società marcescente seguiva il dipanarsi dei racconti che formavano la raccolta.
Qui il raccapriccio ricompare, ma viene ancora più stolidamente caricato di ironia, così come tornano gli altri argomenti tipici di Niccolò Ammaniti: i personaggi caricaturali, le descrizioni fumettistiche, e apocalittiche, gli occhi di brace e i rigurgiti delle viscere della terra. Per ottenere questo effetto lo scrittore si serve, però, di personaggi a dir poco esilaranti. Come Saverio Moneta, il leader della setta ormai in declino “Le Bestie di Abaddon”. Mobiliere nel reparto cucine tirolesi del grande magazzino dell’ottuagenario e perfido suocero, Saverio, in arte Mantos, di giorno subisce le angherie di una moglie algida e di notte promette ai tre disadattati ancora rimasti nella sua setta un’azione memorabile che farà balzare le Bestie ai vertici dei cultori di Satana.
Non molto lontano dal quartier generale di Mantos, ad Oriolo Terme, un giovane scrittore romano cerca l’ispirazione durante noiosissime feste e surriscaldati auditorium. Salutato come una nuova promessa dell’editoria, dopo quattro anni di silenzio Fabrizio Ciba sta diventando una promessa mancata. Il suo editore lo sta per rimpiazzare, la sua agente ha smesso di giustificare i suoi continui eccessi, ed anche il pubblico, che fino ad ora lo ha idolatrato, inizia a contestare le sue uscite mondane.
La festa di Sasà Chiatti forse non è proprio il posto ideale per risollevare la sua reputazione, ma magari potrebbe fornirgli lo spunto per uno dei suoi corsivi al vetriolo sulla stampa nazionale. Chiatti è un palazzinaro di Monfalcone, sopraggiunto a Roma in cerca di approvazione e fama. Per ottenerli ha un solo mezzo, i soldi, con i quali riesce ad acquistare uno dei parchi più belli di Roma, Villa Ada, e ad organizzare la festa più spettacolare che la capitale ricordi. Il parco viene popolato da animali esotici, gru, ippopotami, elefanti indiani e tigri albine; per allietare i partecipanti vengono organizzate tre diverse battute di caccia in costume, ed infine, dopo l’immancabile “Amatricianata” di mezzanotte, il concerto live della mitica Larisa, la cantante rock del momento.
Tutti vorrebbero partecipare al rutilante programma, ma solo in pochi riusciranno a varcare i cancelli della villa e ad assistere all’evento più rovinoso e distruttivo che il mondo dello spettacolo ricordi. Un boicottaggio, o forse la natura, o Satana in persona, offuscheranno le luci scintillanti prodotte dai generatori di corrente elettrica. Una colata di acqua, fango, sangue e terrore, deturperà la scena e le umane sembianze.
Si potrà semplicemente ridere della situazione grottesca, ma, siamo certi, qualcuno tenterà di riflettere sul sottosuolo e l’inevitabilità dei suoi riflussi.

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