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Ho letto: Il ruggito della mamma tigre

Da Momsinthecity

Ho letto: Il ruggito della mamma tigre

Attirata dalle recensioni mai blande e soft, dal coro di dissenso e polemica che si è sollevato all’uscita di questo libro, ho letto “Il ruggito della mamma tigre”. L’ho letto d’un fiato e mi è piaciuto, molto, anzi moltissimo. Il libro racconta della storia di Amy Chua e di come ha cercato di educare le sue due figlie; è la storia personale di una donna, non è un saggio di pedagogia, quindi non credo abbia la velleità di porsi come un modello quanto piuttosto di condividere un’esperienza e un modo di vedere la vita. Quello che mi è piaciuto del libro è la capacità della Chua di andare contro corrente, forte della sua convinzione sulla bontà del metodo educativo da lei scelto, non ha mollato, i suoi dubbi – comunque presenti – li ha risolti lungo il cammino, fino a lasciare scegliere alla più piccola delle due figlie – quella ribelle e più indipendente – una strada diversa.

La forza interiore di sfidare le posizioni più comuni, di prendere la strada meno trafficata non è molto diffusa e riuscire a rendere i nostri figli forti abbastanza per farlo è un gran regalo che possiamo fargli.

Come lei penso che sia importante educare i nostri figli a dare il massimo, a fare le cose con convinzione, impegno, fatica per ottenere dei risultati. Non amo l’approccio del fare “tanto per”. Ascoltando i discorsi di alcune mamme sento dire “ho ritirato mia figlia da danza perché la maestra l’ha ripresa perché non stava sulla riga”, oppure “dopo tre lezioni non è più voluto andare al corso che aveva chiesto e quindi non ci va più”. Ma perché? Che messaggio diamo in questo modo? Penso che così abituiamo i figli a mollare quando le cose diventano difficili. Coccolarli troppo, proteggerli dalle sgridate degli insegnanti non li prepara alle sfide che dovranno affrontare. Allo stesso modo, complimentarci con loro anche quando i risultati sono scarsi – perchè l’impegno è stato scarso – è dannoso. L’episodio in cui la Chua straccia il biglietto di auguri preparatole in pochi minuti dalle figlie alla bell’e meglio mi ha fatto pensare a tutte le volte che diciamo “bravo!” anche quando di bravo non c’è niente. quando va andrebbe rimproverata la superficialità, la mancanza di attenzione e di rispetto.

Sento anche discorsi contro le attività competitive; io trovo che una sana competizione dia la giusta spinta a voler migliorare, ad eccellere, a non restare nel mucchio indistinto; abituarsi a vincere e perdere insegna che si vince più facilmente quando si suda e si fa fatica che quando si da il minimo sindacale. Nella vita si vince e si perde, fare esperienza di questo anche da piccoli è una scuola di vita.

Amy Chua ha scelto una strada dove niente accade per caso, le sue scelte sono molto pensate, lavora moltissimo insieme alle sue figlie, si costringe con loro a orari impossibili, a fatiche iperboliche. Per questo l’ho ammirata. Io credo che il lavoro e la fatica siano un valore e quindi non posso non sentirmi empaticamente vicina a questa mamma che suda più delle figlie che cerca di educare. Sono però molto lontana dai suoi estremismi, come mettere una bimba di tre anni fuori dalla porta con temperature prossime allo zero perché non vuole obbedire. Sento anche che non sarei in grado di essere sempre così intransigente perché sono un po’ “chioccia” e non mi piace il conflitto costante.

D’altra parte, ho avuto una educazione severa e credo di averne beneficiato più di quanto ne abbia sofferto.  Prendevo 6 in un’interrogazione e mio papà scontento rispondeva che da noi si aspettava 9 o 3, che il 6 era la mediocrità, se non avevamo voglia di studiare per un 9 allora che avessimo il coraggio di scegliere l’altro estremo. All’università prendevo 30 e il commento era “bene, hai fatto il tuo dovere, ma potevi andare meglio”. Durante gli incontri con gli insegnanti non prendevano mai le mie difese, anzi chiedevano come potessi fare di più. Con me è andata bene, alla fine ho ricevuto le giuste spinte, quelle che io potevo gestire e sopportare,anche se in quei momenti mi sentivo frustrata e poco spalleggiata. Mi è rimasta dentro la voglia di fare, di migliorare. Vorrei lo stesso per le mie figlie, vorrei essere capace di spingerle fin dove possono e magari un pochino di più, farle osare. Non voglio essere la loro migliore amica, il mio compito è un altro ed è forse in questo che spesso sbagliamo, non abbiamo la forza dell’impopolarità, verso i nostri figli e verso la comunità che ci circonda.

E’ un libro che fa riflettere, perchè – d’accordo o no - è con il confronto che si migliora. Lo consiglio a tutte le mamme tigri, agnelli o aspiranti tigrotte come me.

Angela


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