Ho deciso di fare un esperimento socio-psicoqualcosa: voglio leggere un libro di Fabio Volo.
Perché? Perché criticare Volo è sport nazionale, soprattutto sul web: lo faccio anch'io, però non ho mai letto un suo libro. E criticare senza conoscere è sbagliato, non ha senso e ti mette dalla parte del torto: se qualcuno ti dice "Non l'hai mai letto, come puoi criticarlo" cosa rispondi? Niente, perché ha ragione. E allora leggo, per capire cosa c'è di tanto spettacolare e poi, in caso, criticare con coscienza di causa.
Quello che si alzava alle 4 di mattina per fare il panettiere, quello che io sto bene da solo ma tutti vogliono che sia accoppiato, non riesco a stare fermo, mi è capitato tutto per caso, non è colpa mia se sono un figo, ho un carattere difficile e la gente si stufa di me, sono fatto così. Quello che "sono una persona particolare".
Non si fosse capito: parto molto prevenuta, però parto.
Dopo poche pagine, capisco di avere un problema serio che andrà avanti fino alla fine: Fabio Volo è nella mia testa. Leggo le parole una dopo l'altra ed è come se il libro me lo leggesse lui, con la sua cadenza e le sue pause. Il problema è che scrive come parla, con le stesse frasi corte e le ripetizioni, le espressioni da gggiovane, mentre leggo sento perfino gli eeeeh di quando esita.
A un certo punto parla di cacca. CACCA e non nel senso di "Sei la canticchiante e danzante merda del mondo", ma proprio di cacca, e di carta igienica finita.
Abbiamo il momento "panettiere", che a questo punto sarei curiosa di sapere se c'è in ogni libro (così com'è in ogni sua intervista).
I momenti più belli sono quelli in cui leggo una frase e mi ritrovo a pensare a quante volte sarà stata condivisa su facebook. La poesia, i brividi:
Le donne sono belle da respirare.
Abbiamo poi, quando il protagonista scopre che non sta per morire, il momento Dead Poets Society, con l'amico e dottore Giovanni nei panni di un novello professor Keating:
Ma che paura di morire? Il tuo problema è proprio l'opposto. Checco, il tuo problema non è aver paura di morire, ma aver paura di vivere. È il contrario. Hai quella maledettissima malattia molto diffusa del "NON VIVERE". Sei malato di non vita. Ti ricordi quando mi hai chiesto se avevo le pastiglie per la felicità? La pastiglia è la vita. Vivi, buttati, apriti, ascoltati. Le tue paure, le tue ansie sono dovute al fatto che tu esisti ma non vivi. Sei castrato nei sentimenti. Sei bloccato. Ti ricordi quella frase di Oscar Wilde? Diceva che vivere è la cosa più rara al mondo. La maggior parte della gente esiste, e nulla più. Quindi non ti preoccupare. Se lo diceva già ai suoi tempi...
Allora Fabio, capiamoci: questo dovrebbe essere il primo momento topico del tuo libro, il momento in cui il protagonista capisce cosa c'è di sbagliato nella sua vita, e tu concludi con "lo dice una frase di Oscar Wilde, quindi se lo dice lui...". Ma veramente? Prova a ripassare il film, dai:
Adesso avvicinatevi tutti, e guardate questi visi del passato: li avrete visti mille volte, ma non credo che li abbiate mai guardati. [...] I loro occhi sono pieni di speranza: proprio come i vostri. Avranno atteso finché non è stato troppo tardi per realizzare almeno un briciolo del loro potenziale? Perché vedete, questi ragazzi ora sono concime per i fiori. Ma se ascoltate con attenzione li sentirete bisbigliare il loro monito. Coraggio, accostatevi! Ascoltate! Sentite? "Carpe", "Carpe diem", "Cogliete l'attimo, ragazzi", "Rendete straordinaria la vostra vita"!
Infine, mi sembra giusto citare il momento Fight Club, nel pieno della rivelazione:
L'idea errata che avevo di me, invece, mi spingeva automaticamente a rispondere a desideri e a necessità che in realtà non erano miei. E quindi dentro sentivo le lamentele di un affamato. Ero arrivato al punto di esprimere chi ero con ciò che consumavo e compravo. Le mie scarpe, la mia macchina, le mie vacanze, i locali che frequentavo, il telefonino che sceglievo, l'arredamento di casa. Tutto diventava me. Tutto mi determinava. Tutto mi qualificava. Quelle cose dicevano chi ero. Inseguivo quello che credevo di volere e non quello di cui avevo veramente bisogno. Così, mi sono trovato ad avere quasi tutto tranne ciò che mi serviva per stare bene.
Fabio, ritenta, sarai più fortunato. Prova così:
Tu non sei il tuo lavoro, non sei la quantità di soldi che hai in banca, non sei la macchina che guidi, né il contenuto del tuo portafogli, non sei i tuoi vestiti di marca, sei la canticchiante e danzante merda del mondo! [...] La pubblicità ci mette nell'invidiabile posizione di desiderare auto e vestiti, ma soprattutto possiamo ammazzarci in lavori che odiamo per poterci comprare idiozie che non ci servono affatto. [...] Le cose che possiedi alla fine ti possiedono.
A libro finito c'è una cosa che non capisco: non succede niente. A parte una visita all'inizio, l'incontro con la ragazza alla fine e qualche ricordo raccontato, non succede niente per 179 pagine.
Una sequenza infinita di seghe mentali, una dopo l'altra che ti viene da andarlo a cercare questo Checco per dargli due schiaffi, oppure da buttare il libro dalla finestra. E se lo dico io, che sono la regina delle seghe mentali, beh ce ne vuole. Poi improvvisamente: la rivelazione. Quale? Boh. Una pagina prima è infelice, si sente solo, non conosce sé stesso, i suoi genitori e i suoi amici e una pagina dopo si scopre, è libero, sereno e gli piacciono il gelato al pistacchio e la bresaola.
Il senso del libro dovrebbe essere questo, presumo, il percorso di un ragazzo che crede di avere tutto e si rende conto di non essere felice. Poi inizia a "conoscersi", a "parlare con il bambino che è dentro di lui", e tutto cambia: ma come, Fabio? Non è che tu puoi andare avanti a seghe mentali sui girini e le rane fino a pagina 104, e poi a pagina 105 tutto cambia, mi ci devi portare al cambiamento, me lo devi far capire. Puoi anche mettermi questo idiota davanti allo specchio a parlarsi e sentirsi idiota, ma non è così che succede. Come succede? Mah.
Quindi non lo so, non so cosa dire, è la prima volta che leggendo un libro mi ritrovo a pensare ogni tre righe "Ma che cazzo sta dicendo".
Siamo entrati in un negozio di scarpe e lui ha salutato una ragazza bellissima, mora, capelli lisci fino al sedere. Nel senso che non è che dopo il sedere erano ricci, intendo dire che arrivavano fino al sedere. Punto.
Il cane si è sdraiato, così ho potuto vedere di che razza fosse. Sembrava uno di quelli che tirano le slitte, ma era un po' strano. Probabilmente un incrocio. Riuscito anche un po' male. Infatti più che un husky era un'huskifezza.
E così ero arrivato al punto di iniziare le giornate con la speranza che arrivasse presto il venerdì. Perché non c'era niente di peggio di una vita senza una vita. La vita la incontravo solamente nei finesettimana. I lunedì, infatti, li odiavo perché erano lontani dalla fine. Che schifo!