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Ho perso l’aura!

Creato il 25 settembre 2012 da Francosenia

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Quando Walter Benjamin proclama che "l'aura" è perduta, lo scrive con una grossa quota di dolore.
Essendo un marxista, aveva visto nei mezzi di riproduzione tecnica - così come si manifestavano principalmente nel mezzo cinematografico - la liberazione finale dell'arte da tutti i vincoli del rituale e della tradizione.
"L'aura" - in pratica, una qualità quasi mistica, attribuita agli oggetti sulla base della loro unica presenza nel tempo e nello spazio - andava compresa come un qualcosa da superare, una sfortunata reliquia dei tempi in cui la maggioranza degli uomini era esclusa dall'arte. Una situazione che solo gli ultrareazionari" avevano interesse a mantenere. In breve, la perdita dell'aura, nell'arte, per mezzo della sua riproduzione meccanica, significava per Benjamin la necessaria democratizzazione dell'arte stessa.
Non è un caso che il saggio sull'arte di Benjamin continui ad essere letto ed usato da tutti quei teorici interessati all'arte, al cinema, alla teoria politica e alla cultura visuale. Il testo è per molti versi, profetico. Quando Benjamin afferma che "qualsiasi uomo oggi può vantarsi di essere stato filmato", egli sta prevedendo il detto di Andy Warhol per cui in futuro ognuno avrà i suoi 15 minuti di celebrità. La sua osservazione, a proposito del fatto che "la distinzione fra autore e pubblico è in procinto di perdere il suo carattere di base" è proto-post-moderna. Eppure, è incapace di immaginare che il 21°secolo vedrà un mondo in cui essere filmati non è solo un diritto, ma un dovere civile. Dalle Telecamere di Sorveglianza a Youtube: nessuno sfugge più all'obiettivo! E guai all'adolescente analfabeta che non ha un blog; a dirla tutta, oggi, essere un autore è più un passatempo che una professione.
Se conveniamo con Benjamin che "il culto delle stelle del cinema non preserva l'aura unica della persona, bensì la magia della personalità, il falso incantesimo di una merce", allora dobbiamo interrogarci se la democratizzazione dei media, che si suppone ci sia stata portata da Internet, non è, nei fatti, la trasformazione di un soggetto dato in una merce.  Alcuni lo pensano; per cui mentre ci sono studiosi come Pelle Snickars che predicano il Vangelo di Google, teorici come Tiziana Terranova postulano la tesi provocatoria per cui gli utilizzatori di Internet costituirebbero una nuova lega di liberi lavoratori (pubblicando una webzine significativamente intitolata "NetSlaves").
Con la riproduzione meccanica - sembra sostenere Benjamin - la stessa distinzione fra originale e copia comincia a diventare obsoleta. "L'opera d'arte riprodotta diventa l'opera d'arte disegnata per essere riproducibile. Dal negativo di una foto, per esempio, si possono fare un qualsiasi numero di stampe; domandare quale sia quella autentica, è privo di senso."
Questa affermazione, nella teoria più tarda, arriverà a relazionarsi alla totalità dell'esistenza, e non solo all'arte. La filosofia post-moderna ha osservato, affascinata dall'orrore, come questo mondo sempre più "mediale" sia stato risucchiato in un vortice di "iperrealizzazione", "una generazione di modelli di un reale senza origine o realtà" (Baudrillard). Come a dire, il sogno democratico di Benjamin si è trasformato nell'incubo di Baudrillard!
Ma, la perdita dell'aura è irreversibile? Qualcuno sostiene che con il degrado dei materiali l'aura dell'oggetto ritorna. Toccata dal tempo, ogni copia diverrebbe un originale. Come in qualche modo conferma il dibattito in corso circa la supposta morte del cinema, caratterizzato da un ossessivo interesse per la caducità della pellicola. Per cui, il film analogico recherebbe in sé la propria morte, dal momento che ad ogni proiezione si avvicina sempre di più alla propria distruzione. Così, la paura della scomparsa rende ogni proiezione esistenzialmente preziosa. La penuria è la strada maestra per l'unicità. E l'unicità è il prerequisito per l'aura.
Ogni proiezione è unica, come lo è ciascun spettatore. E, allo stesso modo, non si può dire che un film sia sempre un solo film. Portando più avanti questo esercizio di "plurizzazione", si può arrivare ad affermare che anche lo spettatore non è mai solo uno. Non si riguarda mai lo stesso film con gli stessi due occhi. Banalmente, ad esempio, l'esperienza di un film cambia, a seconda della persona con cui lo si guarda. Una scena d'amore non viene percepita allo stesso modo quando la si guarda con un amante, con un amico, con un genitore, da solo. Se si conosce la situazione emozionale della persona con cui si guarda il film, si può arrivare ad esperire la proiezione, in parte, attraverso i suoi occhi, per mezzo di lui, o di lei.
Così, l'unicità, ovvero l'aura, finisce per risiedere non negli oggetti, ma nell'esperienza che è sempre processo di cambiamento, unico.


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