Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale (Montale)

Creato il 22 aprile 2014 da Athenae Noctua @AthenaeNoctua
La sfida poetica lanciata da Elisa attraverso il blog Le Nove Muse mi dà l'occasione di pubblicare qualche verso dopo parecchio tempo. Ho scelto un testo di Eugenio Montale tratto dalla raccolta Satura (1971) e dedicato alla moglie Drusilla Tanzi, da lui soprannominata Mosca per via dei grandi occhiali che era costretta a portare per compensare una grave miopia. Il motivo di questa selezione è la recente rilettura, con conseguente approfondimento, affrontata per una spiegazione del testo in classe: forse perché dovevo farlo arrivare con la maggior intensità possibile agli studenti, forse perché in passato non l'avevo considerata con l'attenzione che merita, ma non mi ero mai accorta davvero di quanto fosse commovente questa breve poesia, della profondità del suo significato alla luce della produzione complessiva del premio Nobel genovese.
Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.
Il testo si presenta come un distillato di devozione a suggello di una lunga relazione fatta di grande affetto, ma anche di momenti di crisi, scandita da una lunga convivenza (Eugenio e Drusilla vissero insieme fin dal 1939), interrotta, però, dopo un solo anno di nozze: nel 1963, la donna morì in seguito alle complicazioni seguite alla rottura del femore, lasciando nella vita del compagno una malinconia e una solitudine palpabili ad ogni verso della lirica.
I due innamorati hanno percorso insieme un breve, lungo viaggio, evocato attraverso l'iperbole di milioni di gradini, che alludono anche alle difficoltà incontrate dalla coppia, compreso, forse, quel tentativo di suicidio che Eugenio riesce a scongiurare e che muove dalla paura di Drusilla di vederlo fuggire con Irma Brandeis, la Clizia sempre presente nei suoi componimenti. Ora, per il poeta, c'è solo un grande vuoto che gli rende impossibile muoversi. Sì, perché nella sua Mosca Montale non trovava un semplice appoggio per rendere più facile un cammino insieme, bensì l'unica, vera guida ai suoi passi. Drusilla, pur nella sua miopia, aveva il dono di una vista interiore, sapeva guardare alla verità profonda delle cose, riusciva a coglierne l'essenza, senza lasciarsi sviare dalle banalità e dalle ambizioni da cui la maggior parte degli uomini e Montale stesso si lasciano abbagliare. La realtà non è quella che si vede, sostiene il poeta, che già in Forse un mattino andando in un'aria di vetro (Ossi di seppia, 1925) aveva avvertito il contrasto fra la realtà e le apparenze: a Drusilla non occorrevano le pupille, perché ella aveva il dono di una vista interiore, delle sole, vere pupille.

Drusilla Tanzi e Eugenio Montale


C.M.

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