Un apparecchio sinistramente molto molto simile a quello che avevo in quarta elementare.
Solo che adesso non ho dieci anni, ne ho ventinove, sei mesi e un diabolico, orrido apparecchio che in due ore mi ha già abraso la mucosa di una guancia e che mi provoca scialorrea. Sbavo. Sbavo come un'ottuagenaria col bavaglino in casa di riposo e non so dire le esse. Ho questo ferretto che mi ostacola la lingua, me la comprime, impedisce l'articolazione alveolare della consonante che sta in così tante parole di questa nostra meravigliosa lingua che è l'italiano, parole che uso continuamente, come sì, perché sono un tipo assertivo, come sono, perché sono un tipo egocentrico e come suca, perché sono un tipo sboccato e in questo momento molto molto affranto.
I miei denti hanno bisogno di essere riassestati. Hanno bisogno di un atto di forza, perché stanno messi malaccio, e perciò ho scelto, in coscienza e nel pieno possesso delle mie facoltà mentali, di autoinfliggermi la ferraglia per otto - otto - mesi. Otto mesi di sole, di sonno, di spazzatura. Di scusa, di scuola, di squali. Di storie, di spazi e -dio mio- otto mesi di sassi, sassofoni e sessuologi, che ce n'è tanti, in otto mesi, di sessuologi, ma soprattutto di sassi, vuoi non avere a che fare con mucchi, con montagne di sassi in otto mesi?
Io sono qui, mando messaggi vocali al Pelliccia, alle mie amiche, solo per ascoltarmi, per sentire il suono di tutte queste esse e per spaventarmi, perché provo un piacere perverso a sentirmi un difetto addosso, a non riuscire ad arrotondare, scivolare la lingua sulle gengive, senza sentire i contorni dei miei denti storti e forti e ancorati e grossi.
Sono qui, parlo ad alta voce davanti alla dottoressa Kepner per abituare la mia bocca ai suoi nuovi spazi, tocco le molle, mi fanno male ma non posso resistere, sono orribili e sanno di ferro, sono lisce, aguzze, la mia bocca si muove innaturale intorno a loro.
E nel frattempo, non posso credere di averlo fatto.
Sono euforica, sono felice, sono terrorizzata, dal dolore, dalla esse, dai miei clienti, il mio capo, la gente che conosco, la gente che non conosco. Dalle esse dalle esse dalle esse. Dio mio, quante parole ci sono che hanno dentro la esse.
Io non voglio che si senta. Non voglio - che - si veda.
Oppure no, forse me ne frego. Non ho ancora deciso, ma potrebbe anche essere che. Sì, potrebbe proprio anche essere che.