Ieri, venerdì 26 febbraio 2016, a due giorni dalla sua attesissima vittoria agli 88esimi Oscar, Ennio Morricone ha ricevuto la sua stella (la numero 7065) in seno all’Hollywood Walk of Fame, a Los Angeles, California. Un riconoscimento di indubitabile rilievo, riservato come tributo a coloro che si sono distinti, attraverso la loro brillante carriera, nello sviluppo del concetto e del mantenimento dell’industria dello spettacolo, specificatamente hollywoodiana, s‘intende.
Non stupisce dunque oltremodo l’evidente mancanza di moltissimi numi della settima arte (e non solo, come avremo a brevissimo modo di vedere), che sarebbero così da sommare ai 2574 già collocati lungo questa passeggiata della ricordanza, divisa fra l’Hollywood Boulevard e la Vine Street, per una lunghezza totale di circa 2,8 km. L’idea, nata nel lontano 1953 nella mente (si dice) di E. M. Stuart, presidente volontario della Camera di Commercio di Hollywood, con l’intento di “mantenere la gloria di una comunità il cui nome significa fascino ed eccitazione nei quattro angoli del pianeta”, oggi grazia il nostro grande artista cogliendo l’occasione del suo recente ed illuminante contributo al nuovo crime-western di Quentin Tarantino, “The Hateful Eight”, fino a meno di un anno fa ben lungi dall’essere considerato anche solo un’eventualità.
Ripetutamente infatti il compositore aveva negato ogni intenzione di tornare a scrivere brani singoli per i film del regista americano, men che meno un’intera colonna sonora. Ma la speranza nel pubblico si è riaccesa il 12 giugno scorso, durante l’apparizione del duo ai 60esimi David di Donatello, evento privo di alcuna sentenza ufficiale e comunque, per quanto sottecchi, promettente. Avendo avuto l’opportunità di apprezzare il lavoro di entrambi, c’è da dire che il presente connubio si sia rivelata una mossa vincente sotto ogni punto di vista e degna di lunga memoria.
Agli atti questa inaspettata decisione d’oltreoceano appare essenzialmente un (seppur valido) pretesto per ospitare il sei volte nominato agli Oscar (senza contare il Premio alla carriera del 2007) in un alveo quasi mistico, un coacervo di talenti i quali, tutti uniti, costituiscono un’icona internazionalmente riconosciuta ed ammirata, oltre che un’attrazione turistica di spicco al pari della nota gigantesca scritta sulla collina, del Dolby Theatre (dove la prossima domenica si terrà la cerimonia degli Academy Awards) o di una delle varie dislocazioni del celebre museo delle cere di Madame Tussauds, presente dal 2009 anche a Hollywood. La fama di questo longilineo monumento è tale da aver generato e diffuso nel corso dei decenni una mole consistente di “informazioni inaccurate”, come specificato nel sito ufficiale Walkoffame.com.
Seguendo una media di due episodi mensili, le nuove personalità da ascrivere all’albo della Walk vengono scelte fra quelle “in lista d’attesa” (si parla di 200 proposte annue); a queste viene dedicata un’apposita stella rosacea a cinque punte dal bordo bronzeo su una piastrella color carbone, con al centro, sotto il nome del dedicatario, un emblema circolare riferito all’ambito artistico di pertinenza. Il luogo in cui vengono collocate le onorificenze tenta il più delle volte di adattarsi, di trovare una continuità linguistica con l’ambiente circostante: per esempio, si cerca di posizionare i vincitori degli Oscar nei pressi del Dolby Theatre, oppure ossequiando altre logiche, alle volte stravaganti (si pensi che la stella di Roger Moore, storico 007, è al 7007 Hollywood Boulevard).
Le categorie riguardano l’industria cinematografica (simboleggiata da una cinepresa a bobine), televisiva (un televisore a tubo catodico), radiofonica (un microfono), discografica (un grammofono inquadrato dall’alto) e teatrale (due maschere, arbitrariamente attribuibili ai generi della commedia e della tragedia); quest’ultima è quella in cui è annoverato il nostro Morricone. Nel caso si venisse a conoscenza della motivazione di tale bizzarra assegnazione, ci si appella al buonsenso di renderla di pubblico dominio.
Non è in ogni caso l’unica stramberia, o piuttosto curiosità se si vuole, fra quelle registrate negli anni passati. Fortunatamente, questa è una sede particolarmente adatta ad una veloce ricognizione di alcune peculiarità che possano regalare un assaggio di come sia variegato il panorama sotto i piedi dei visitatori della costa occidentale, concentrandosi preferibilmente sul comunque nutrito gruppo di nomi slegati dalle categorie “motion pictures” e “broadcast television”.
Emblematico in questo è il caso della pervasività di certe stelle musicali: dai musicisti e compositori jazz Count Basie, Dave Brubeck, Duke Ellington, Dizzy Gillespie, Lionel Hampton, Herbie Hancock, Thelonious Monk, Cole Porter e Artie Shaw, alle cantanti jazz e soul Ella Fitzgerald, Billie Holiday, Etta James, Sarah Vaughan e Aretha Franklin, passando per la black music di Quincy Jones e per il blues di B. B. King. Oltre ai fasti dedicati a singoli artisti, come possono essere, fra i moltissimi, i miti del rock, dell’house, del metal, del pop, del reggae, della dance e disco Phil Collins, David Guetta, Jimi Hendrix, Julio Iglesias, Michael Jackson, Elton John, Bob Marley, Ozzy Osbourne, Elvis Presley, Lionel Richie, Shakira, Britney Spears, Sting e Donna Summer, si trovano quelli riservati a un gran numero di complessi, dalle Andrew Sisters ai Beach Boys, dai Beatles ai Bee Gees, dai Duran Duran ai Queen, fino agli U2.
Ma certo non mancano artisti più o meno imponenti della musica classica, come i lirici Maria Callas e Fëdor Šaljapin, i pianisti Vladimir Horowitz e Arthur Rubinstein, i violinisti Jascha Heifetz e Yehudi Menuhin, i direttori Leonard Bernstein, Eugene Ormandy e Leopold Stokowski, oltre a una serie di compositori più o meno associabili alle attività cinematografiche, come Irving Berlin (colui che “non ha un posto nella musica americana, perché è la musica americana”), George e Ira Gershwin, Morton Gould, Alfred Newman, Lalo Schifrin, fino agli insospettabili Ignacy Paderewski (della Polonia, anche Primo ministro nel 1919) e John Philip Sousa (il re della musica bandistica americana).
Nel campo teatrale salta all’occhio Plácido Domingo, in quello radiofonico il signor Igor Stravinskij; fra i plurimenzionati si distinguono Nat King Cole (musica e televisione), Bing Crosby (cinema, radio e musica), Frank Sinatra (cinema, televisione e musica), Bob Hope e Mickey Rooney (cinema, televisione, radio e teatro), Tony Martin e Roy Rogers (cinema, televisione, radio e musica), e infine l’unico detentore del maggior numero di stelle possibile, Gene Autry (cinema, televisione, radio, musica e teatro).
Nella categoria “cinema”, ancora, compaiono i patriarchi Auguste e Louis Lumière, Thomas Alva Edison e George Eastman, lo scrittore Ray Bradbury, il famoso critico Roger Ebert e l’uomo che diresse per 38 anni l’MPAA (l’Organizzazione americana dei produttori cinematografici che per ogni titolo distribuito esprime un divieto, dal “per tutti” al “VM 18”), ossia Jack Valenti; per riprendere invece la discutibile collocazione di Morricone, mentre giganti come Newman e Schifrin sono inseriti nella categoria “recording”, altri compositori del calibro di Maurice Jarre, Randy Newman, Max Steiner e Hans Zimmer si ritrovano fra i “motion pictures”.
Nella sezione televisiva trovano singolare spazio addirittura Chuck Norris e l’astronauta Neil Armstrong. Vale la pena a questo segno citare i personaggi animati, dai più classici Biancaneve, Bugs Bunny, Campanellino, Paperino, Picchiarello, Snoopy, Topolino, Winnie the Pooh, fino ai recenti e orripilanti Shrek e Godzilla, i pupazzi Kermit la Rana e Big Bird (entrambi dedicatari anche della stella intitolata ai Muppets), i cani Lassie, Rin Tin Tin e Strongheart. Relate al mondo dell’animazione, si rintracciano persino le stelle di Disneyland (nel 50° anniversario), dei Rugrats e dei più popolari Simpson. Hanno una stella pure i Munchkins (i “Mastichini”) del film “Il mago di Oz” (1939). E poi due fumettisti d’eccezione, il Dr. Seuss e Charles M. Schultz; un presidente degli Stati Uniti (Ronald Reagan, indimenticato protagonista televisivo); quattro personalità (forse) meno note dei loro omonimi, ovvero l’Harrison Ford attore americano del cinema muto (presente assieme al vip odierno), il Michael Jackson radiocronista (idem), l’Engelbert Humperdinck cantante inglese (da non confondere con l’omonimo compositore tedesco) e il David Copperfield illusionista.
Si possono trovare 7 “Smith”, 12 “Jones”, 14 “Moore” (uno dei quali, Clayton, è indissociabilmente legato al nome della sua maschera più famosa, quella di “Lone Ranger”) e 16 “Williams”, e 13 nomi d’arte, fra cui Sabu (Dastagir, l’attore indiano), i già noti Shakira, Sting e Paderewski (caso alquanto controverso, visto che non si tratta di un nome d’artista correntemente adottato, bensì puramente del cognome). Dal 2004 le persone più giovani ad essere inserite nella passeggiata sono le diciottenni gemelle Mary-Kate e Ashley Fuller Olsen. Avvalendoci di inediti criteri di ricerca, scopriamo che fra coloro i quali hanno vinto un cospicuo numero di Oscar si trovano Walt Disney (non ha bisogno di presentazioni, 26), Dennis Muren (tecnico degli effetti speciali, 9), Alfred Newman (compositore, 9), Edith Head (unica costumista della Walk, 8), Alan Menken (compositore, 8), Billy Wilder (regista, sceneggiatore e produttore, 7), Rick Baker (truccatore, 7), il succitato Bob Hope (attore, cantante e conduttore, 5 tutti onorari), Robert Wise (regista e produttore, 5).
Al contrario non sono inseriti, fatto alquanto triste e indegno in alcuni casi, i seguenti talenti: Douglas Shearer (tecnico del sonoro e degli effetti speciali, 14), Cedric Gibbons (scenografo, 11), Farciot Edouart (tecnico degli effetti speciali, 10), Edwin B. Willis (scenografo, 8), Richard Edlund (tecnico degli effetti speciali, 8), Richard Day (scenografo, 7), Gary Rydstrom (tecnico del suono, 7), Francis Ford Coppola (regista, sceneggiatore e produttore, 6), Thomas Little (scenografo, 6), Walter M. Scott (scenografo, 6), Lyle R. Wheeler (scenografo, 5), Richard Taylor (truccatore, tecnico degli effetti speciali e costumista, 5), Irene Sharaff (costumista, 5), Gordon Jennings (tecnico degli effetti speciali, 5), Ken Ralston (tecnico degli effetti speciali, 5), John Williams (compositore, 5), John Barry (compositore, 5), Federico Fellini (regista e sceneggiatore, 5), Clint Eastwood (regista e attore, 5). Neppure il titano Stanley Kubrick è reperibile. Nel conteggio, si badi, sono compresi i Technical Achievement Awards, gli Scientific and Engineering Awards e la Medal of Commendation.
Nella storia della Walk non mancano furti (ai danni di James Stewart, Kirk Douglas, Gene Autry e Gregory Peck) e atti di vandalismo, che certo stridono di fronte ai tanti atti decorativi che i fan realizzano in occasione di particolari ricorrenze. Così come, curiosamente, è successo che i nomi incisi nelle stelle contenessero errori di grafia: Dick Van Dyke originariamente era “Vandyke”, Julia Louis-Dreyfus “Julia Luis Dreyfus” e Mauritz Stiller “Maurice Diller”. Non sono ancora stati corretti i nomi di Lotte Lehmann (“Lottie”), Merian C. Cooper (“Meriam”) e Auguste Lumière (“August”). Un’altra svista è quella per cui Monty Woolley e Carmen Miranda, pur essendo registrati nella sezione “motion pictures”, come emblema sul marciapiede si ritrovano un televisore, mentre Larry King vive la situazione contraria. Due stelle, a detta del Los Angeles Times, sono assurdamente introvabili.
In appendice, come non andare a scoprire a quali altri connazionali ora fa compagnia il nostro Ennio Morricone? Premettiamolo subito: a nessun altro “teatrante” o compositore, il che aumenta naturalmente l’esclusività di una simile svolta. La maggior parte degli italiani che possono gloriarsi di una propria stella appartengono alla schiera dei musicisti; in questo senso può sorprendere la rimarchevole presenza di celebri cantanti lirici come Enrico Caruso (tenore, 6625 Hollywood Boulevard), Amelita Galli-Curci (soprano di coloratura, 6821 Hollywood Boulevard), Beniamino Gigli (tenore, 6901 Hollywood Boulevard), Ezio Pinza (basso, 1601 Vine Street), Renata Tebaldi (soprano, 6628 Hollywood Boulevard), oltre ad Andrea Bocelli (7000 Hollywood Boulevard) e ai direttori Annunzio Paolo Mantovani (1708 Vine Street) e Arturo Toscanini, unico italiano ad avere due stelle, una per la musica al 6725 e una per la radio al 6336, entrambe in Hollywood Boulevard.
Più esile, ma non meno rappresentativa, la componente cinematografica: due attrici, Anna Magnani (6385 Hollywood Boulevard) e Sophia Loren (7060 Hollywood Boulevard), un attore, Rodolfo (Rudolph) Valentino (6164 Hollywood Boulevard), un regista, Bernardo Bertolucci (6925 Hollywood Boulevard). È chiaro quindi, ma non superfluo ricordarlo, come l’Hollywood Walk of Fame non possa assurgere allo status di tempio mondiale dell’industria mediatica: troppi sarebbero i nominativi mancanti, le nazionalità radiate dal sistema, le competenze non riconosciute. Fatto sta che ancora una volta, pur fra contraddizioni, nazionalismi e disequilibri interni, gli americani hanno tenuto a battesimo un’iniziativa di ampio e potenzialmente immortale respiro, una di quelle esperienze che varrebbe la pena inserire nella propria personale “bucket list”, per dirla con Rob Reiner.
Written by Raffaele Lazzaroni
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Rubrica OSCAR 2016