Esplosi sulla scena metal nel 2010 con il full length Crisis In Utopia dopo l’ottimo biglietto da visita costituito dall’ep Improper Burial, gli Holy Grail affrontano la prova del secondo album forti di rinnovata energia ed ispirazione. Il gruppo di Los Angeles propone un heavy metal di matrice piuttosto classica e ciononostante foriero di spunti interessanti che lasciano ben sperare nella direzione di una maggiore originalità compositiva.
In confronto a Crisis In Utopia (l’album che vi ha fatto conoscere a livello mondiale), Ride The Void rappresenta un grosso passo in avanti sia musicale sia per i testi. È stata dura (in termini di tempo o energie) o è fluito tutto liberamente?
James Paul Luna: Se lo paragoniamo a Crisis In Utopia, Ride The Void è stato qualcosa di molto più liscio. Abbiamo iniziato la pre-produzione con Matt Hyde senza fretta tre mesi prima delle registrazioni. Al momento di registrare avevamo chiaro come sarebbe stato l’album e non c’era alcun dubbio se fosse buono o meno.
Pensavate a un obiettivo specifico mentre ci lavoravate?
Il nostro obiettivo principale per Ride The Void era semplicemente quello di fare il miglior album possibile.
La fase di scrittura è stata caratterizzata dalle singole influenze di ogni musicista della band? Possiamo parlare di un lavoro di squadra?
Le influenze di ciascuno di noi entrano in gioco decisamente in quest’album ed è stato davvero un gran lavoro di squadra completare tutto, nonostante il grosso dei riff di chitarra fossero di Eli e la maggioranza delle parti vocali fossero scritte da me.
Avete un nuovo chitarrista: Alex Lee. Cosa sta portando dentro alla band? Come ha legato con Eli Santana, che appunto è il vostro riff-maker?
Alex porta all’insieme una dose fresca e cattiva di shredding. È influenzato dagli stessi chitarristi che influenzano Eli, ma entrambi suonano a modo loro e in maniera personale, il che bilancia alla grande l’album.
Le linee vocali sono tra i punti di forza principali di Ride The Void, perché appaiono genuine e spontanee, perfette per avere impatto dal vivo. Quanto è importante per voi il live? Come ci si sente ad aver suonato assieme ai Blind Guardian o ai Children Of Bodom?
I live show sono la cosa più importante per una giovane band agli inizi, perché è grazie a questo che mangi. Se sei scarso dal vivo, allora non è che oggi come oggi puoi sperare in chissà quale carriera.
Dividere il palco con i Blind Guardian o i Children Of Bodom è come aprire per uno dei tuoi eroi, sei molto nervoso, confuso e sembra tutto surreale all’inizio, ma dopo, quando li hai incontrati, capisci che sono persone come te. Davvero fantastico!
È chiaro che il contenuto dei testi si è spostato da tematiche fantasy alla vita e alle esperienze reali. Perché avete scelto questo cambiamento? Avete accantonato i vecchi argomenti o è solo una fase transitoria?
Sì, il nostro primo album era all’incirca metà fiction e il resto aveva a che fare con la vita vera, mentre in Ride The Void solo quattro pezzi si basano su storie inventate. Non abbiamo cambiato nulla di proposito, sono solo le canzoni che ci sono venute fuori e che ci sono piaciute. Non abbiamo chiuso le porte al fantasy, o ad altri temi, stiamo solo attendendo il momento giusto per servircene.
A parte una canzone anti-establishment come “The Great Artifice”, siete stati anche in grado di scrivere di una materia complessa come quella affrontata in “Rains Of Sorrow”. Come vi ci siete approcciati?
“Rains Of Sorrow” era in realtà una canzone che avevamo scelto di non inserire nel primo album. Non era ancora pronta e non eravamo nello stato mentale giusto per finirla quella volta. Mentre cercavamo ispirazione, Eli ha parlato di suo zio malato di cancro: la canzone si è scritta praticamente da sola.
La scelta di collaborare con Matt Hyde era specificatamente mirata a ottenere un sound che pendesse di più verso le chitarre o era guidata da altri aspetti dei suoi lavori precedenti in qualità di produttore?
Conoscevo Matt personalmente già da sette-otto anni prima di lavorarci insieme su Ride The Void. Volevamo già metterci all’opera sul primo album, ma i nostri impegni non si incastravano mai. È il miglior produttore che ho incontrato, le sue conoscenze su come si suona la chitarra, sulla teoria musicale, sullo scrivere e comporre canzoni sono di alta qualità e grosso calibro. Ancor più importante della sua abilità, la sua esperienza sul campo è sterminata e ineccepibile, quindi eravamo davvero eccitati di lavorare con lui su quest’album.
La California è conosciuta principalmente per la scena thrash (in qualche modo condividete lo stesso amore per un riffing ricco), mentre da un punto di vista generale sembrate collegati di più alla NWOBHM (per dire… i Judas Priest e le twin guitars) o a band come i Malice. Cosa vi ha portato a scegliere un sound più classico e a lavorarci per rinfrescarlo?
Be’, circa dieci anni fa sono diventato davvero un maniaco di classic metal e NWOBHM ed ero sorpreso da come tanta gente non sapesse nulla di questa musica. Ho volute riaccendere il fuoco e ripresentarlo alla gente con una nuova luce, questa è stata la genesi degli Holy Grail!
T’importa venire collegato a una specifica scena o a uno specifico stile? Ti senti più a tuo agio al di fuori delle etichette?
Non m’importa se mi collegano a una scena o a uno stile precisi, lo so che la gente deve categorizzare tutto quello che sente e so di non avere il controllo di questa cosa. Idealmente, preferirei non essere mai etichettato, siamo solo una band heavy metal e suoniamo heavy metal alla maniera che piace a noi, punto e basta.
Ci passate o no in Italia?
Attendiamo da tempo di poter suonare da voi, quest’anno si spera che con Nuclear Blast dalla nostra parte in Europa potremo finalmente realizzare il nostro sogno!
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