Capolavoro o sterile provocazione? Celebrazione del “primitivo e sacro gesto”, Holy Motors è destinato a diventare un cult o a essere ignorato
Il pubblico in sala appare immobile, morto. Sullo schermo le immagini si fanno ripetitive; un semplice gesto in bianco e nero, nel quale un ragazzo a torso nudo distrugge un piatto. In una stanza si sveglia un uomo e accende una sigaretta. In lontananza si sente il verso di diversi gabbiani e il suono di una nave appena sbarcata. Fuori dalla finestra si vede distintamente un aeroporto. L’uomo spegne la sigaretta e, dopo aver tastato le pareti, con una strana chiave apre una porta in un muro, sul quale è disegnato una distesa di tronchi. La porta si apre e l’uomo si trova in una sala cinematografica, la stessa sala nella quale il pubblico pareva morto. Un bambino corre per il corridoio. Holy Motors (2012) si apre in questo modo. Un indecifrabile sguardo, che, inizialmente, ostenta le sperimentazioni di Marey e Demeny nel 1892. Carax (l’uomo del prologo, ispirato a un racconto di Hoffman) celebra il “gesto” e la sua bellezza, e non importa se questo sia cinematografico, teatrale o recitativo. Il regista effettua una visione straniante, surreale. Porta indietro il cinema alle sue origini e alla “sacralità” dell’azione. Quel sacro motore dell’azione espresso nel titolo. Carax vuole smuovere quel pubblico morto e immobile, ma ci riesce?
La pellicola racconta una giornata tipo di Monsieur Oscar, colui che riempie lo schermo di immagini fasulle, trucchi recitativi, che gli permettono di interpretare uno, nessuno e centomila ruoli diversi. Dapprima esce dalla sua casa e si finge (o si pensa che sia) un banchiere, poi sale su una limousine e si cambia d’abito. Diviene prima una povera mendicante, poi attore su un set di motion capture (nel quale si esibisce in un simulato rapporto sessuale), di seguito Monsieur Merde, successivamente padre di un’adolescente, suonatore di fisarmonica, killer e vittima di se stesso, anziano morente e infine padre e marito che fa ritorno al proprio appartamento. L’azione si somma, ma si annulla; diviene sterile, finta, recitata e volutamente ridicola. Tutto è un trucco. Proprio come il cinema: una circense che rimane abilmente e pericolosamente sospesa tra realtà e finzione. Azioni quotidiane (o apparenti tali), che rivelano la vacuità dell’azione dell’uomo di questi tempi. Carax vuole smuovere il pubblico, vuole renderlo partecipe e complice della creazione, ma probabilmente il suo stile metaforico, debordante e folle si tramuta in una rete inestricabile, proprio perché apparentemente indecifrabile. Il rischio, creando una pellicola di questa tipologia (simbolica e volutamente criptica), è quello di rifuggire il coinvolgimento del pubblico, che non comprende il reale obiettivo del regista. Holy Motors confonde. E, certamente, permette lunghissime e diversissime interpretazioni. Tuttavia la pellicola rischia di scivolare in una ridicola ridondanza fine a se stessa. Un’auto-celebrazione stilistica, nella quale Carax dimostra allo spettatore (e a se stesso) di essere un autore a tutto tondo, di essere in grado di affrontare generi differenti (si sfocia anche nel demenziale) in un film che (tenta di) dimostrare che il cinema è morto. Oppure che sta solo dormendo. Oscar chiede al misterioso committente (impersonato da Michel Piccoli) «dov’è la macchina da presa?». Se lo chiede anche lo spettatore e non ottiene risposta.
Holy Motors produce diverse domande: quanto rimane all’uomo comune per dedicarsi al vero e non limitarsi a eccessi e finzione? 30 minuti? Quegli stessi 30 minuti dedicati a una malinconica Kilye Minogue (che si esibisce nel suo ultimo personaggio, la suicida) nei fatiscenti grandi magazzini La Samaritaine di Parigi? E tutto il resto? Domande da interiorizzare e che producono ognuna una risposta personale. E quando tutta la paradossalità e surrealità filmica (frutto di una sceneggiatura non lineare) sembra aver raggiunto i vertici più alti nelle penultime sequenze, Carax spiazza nuovamente e sposta la sua macchina da presa sulla vera protagonista della pellicola: la limousine. E la fa parlare. A questo punto la rimessa (che si chiama holy motors) si colora di fanali rossi e le dichiarazioni si sprecano. Macchina ormai inadeguata, la limousine emette la sua sentenza: «gli uomini non vogliono più macchine visibili. Non vogliono più motori. Non vogliono più azione» Carax celebra e provoca. Il sermone è finito. Amen.
Uscita al cinema: 6 giugno 2013
Voto: ***