
Tre titoli indispensabili, che sono stati, di fatto, i pilastri dell'estate ormai sul viale del tramonto.

SHARKNADO di ANTHONY C. FERRANTE (USA, 2013)

Vi starete chiedendo per quale motivo, dopo un'introduzione che parlava di film memorabili e visioni indispensabili, ad aprire il post si trovi una delle porcate più colossali mai realizzate da un regista - o presunto tale - ed interpretata da attori ed attrici - o presunti tali -.La risposta è semplice: Sharknado è una genialata assoluta, che merita una visione da parte di ogni appassionato - e non - di Cinema.Il lavoro di Anthony C. Ferrante - che probabilmente intendeva vendicarsi di Ian Ziering dai tempi di Beverly Hills scegliendolo come protagonista di una delle pellicole più trash e brutte mai girate -, infatti, è una meraviglia anti-settima arte degli stessi livelli di Killing point, perla con protagonista Steven Seagal che ho avuto l'onore ed il privilegio di recensire qualche mese fa.Scene cult a profusione, logica gettata alle ortiche, effetti dalla bruttezza inenarrabile: non credo di aver mai riso così tanto davanti ad un film. Magnifico.

SOLO DIO PERDONA di NICOLAS WINDING REFN (Francia/Thailandia/USA/Danimarca/Svezia, 2013)

Finalmente sugli schermi del Saloon trova spazio l'ultima fatica di uno dei registi cult fordiani, Nicolas Winding Refn, chiacchieratissima sin dai tempi della sua partecipazione all'ultimo Festival di Cannes: in molti hanno accusato Refn di essersi lasciato andare all'autoreferenzialità nel narrare questa torbida vicenda di crimine e morte ambientata a Bangkok, eppure tutto quello che mi è parso trasparisse da questa ostica ma meravigliosa pellicola è l'amore che il cineasta danese pare provare per il melò action orientale che da John Woo a Jonnie To abbiamo imparato ad amare - ed acclamare - anche noi occidentali.Una vicenda tragica e sconvolgente, senza dubbio eccessivamente autoriale ma ipnotica e travolgente, con due protagonisti perfetti, una villain d'eccezione - la spietata Kristal interpretata da Kristin Scott Thomas - ed una figura "divina" che è già entrata nel mito, il poliziotto/giustiziere Chang.Il tutto senza contare che, una volta ancora, fotografia e colonna sonora lasciano a bocca aperta.Solo dio perdona. Refn neanche per scherzo.

HARA KIRI - DEATH OF A SAMURAI di TAKASHI MIIKE (Giappone/UK, 2011)

Takashi Miike, regista prolifico quanto incostante, dopo l'incredibile 13 assassini sfodera la katana per un altra vera e propria pietra miliare legata al mondo del Giappone feudale e dei samurai inspiegabilmente passata inosservata ai distributori nostrani.Hara Kiri - Death of a samurai rappresenta l'eredità che il Maestro Kurosawa ha lasciato non soltanto al Cinema nipponico, ma alla settima arte tutta: lo stesso, indimenticabile Akira si sarebbe complimentato con Miike, in grado di portare sullo schermo un dramma ad incastro che dalla lezione di Rashomon porta in dono al pubblico un fardello emotivo enorme, nonchè una nuova sfida lanciata al Potere in tutte le sue forme per un film forse addirittura più politico e profondo del già citato 13 assassini.Nel climax conclusivo e nel dramma che si consuma in seno alla famiglia del protagonista c'è tutta la magia del Cinema, che porta questo titolo tra i dieci migliori visti al Saloon nel corso di questo duemilatredici.Prendete e guardatene tutti. Impossibile pentirsene.Un colpo al cuore.

MrFord