Homo Faber, il cinema d'azione di Thomas Cailly
In occasione dell'anteprima nazionale de "Les Combattents" abbiamo incontrato il regista Thomas Cailly, autore di uno dei film più sorprendenti di questi ultimi anni.
Il titolo del film sembra alludere ad una vera e propria
filosofia riguardante l’arte di vivere. E’ così?
Si, "The Fighters" parla proprio di questo. E'
possibile passare la vita a porsi domande, oppure, come fanno i protagonisti
della mia storia, cercare di andare avanti, passando dall'idea all'azione. Un
automatismo che pervade tutto il film e che finisce per diventare il perno su
cui ruotano vicenda e personaggi. Non è quindi un caso che Arnaud sia un
costruttore di bare e che l'esistenza di Madeleine sia monopolizzata da un uso
costante del corpo, sottoposto a lunghe sessioni di allenamento fisico
necessarie a superare l’esame per entrare nell’esercito. In entrambi i casi
a prevalere è la volontà di costruire qualcosa di
concreto anche a costo di commettere degli sbagli.
La storia pur toccando argomenti delicati e descrivendo
situazioni anche drammatiche è però attraversata da un sottile vena d’umorismo.
Come sei riuscito ad ottenere l’equilibrio tra registri così differenti?
Lo humor di cui parli
non era preventivato e se esiste è venuto fuori in maniera naturale. I
personaggi fanno cose classiche e ordinarie ma la loro particolarità è quella
di passare in un attimo dal pensiero all'azione. E' questo che mi piace di loro
e che volevo trasmettere quando giravo il film. Ci sono momenti i cui i due
protagonisti stanno bevendo qualcosa e parlano del più e del meno e subito dopo
vengono coinvolti in qualcosa di pratico. Un modo di fare che non toglie nulla
alla loro storia d'amore, al punto che anche quando si ritrovano nell’esercito
riescono a conciliare l’addestramento con gli affari di cuore.
Come sei arrivato a “The Fighters”?
Volevo raccontare una storia d'amore, e mentre la scrivevo
mi sono imbattuto in una serie di reality dedicati
alla sopravvivenza, in cui i maggiori ostacoli derivavano proprio dall'ostilità
dell'ambiente naturale. Allora mi sono chiesto se quel qualcosa che manca nella
vita delle persone poteva trovarsi nel fatto di dover sopravvivere in un
ambiente sfavorevole. M’interessava compenetrare le due fasi e vedere se il
vitalismo di chi è costretto a lottare per continuare a esistere era in grado
di aggiungere qualcosa all’emozione dell’amor
Il paesaggio è certamente uno dei protagonisti del film.
Mi puoi spiegare qual’è stato il processo creativo che ti ha permesso di
realizzare uno scenario al tempo stesso verosimile e fiabesco?
Il riferimento potrebbe sembrare irrispettoso ma mi torna
utile per rispondere alla domanda. L'aneddoto riguarda David Lean e la risposta
data a una giornalista che a proposito di "Lawrence D'arabia" e delle
sue difficoltose riprese, gli chiedeva perchè avesse deciso di lavorare su un
soggetto ambientato nel deserto. Lean rispose che il deserto era una cosa
pulita; caratteristica che il regista attribuiva all'essenzialità dell'ambiente
che gli dava la possibilità di far risaltare la centralità dei personaggi e le
loro motivazioni. Io ho cercato di fare la stessa cosa, spogliando il film da
tutto ciò che era superfluo. Dal mondo del lavoro e dal villaggio in cui
vivono, i protagonisti si spostano successivamente dentro la caserma, che per
forza di cose li esclude dalla maggior parte delle cose che appartengono alla
quotidianità. Un cambiamento che ho voluto enfatizzare anche dal punto di vista cromatico,
utilizzando solamente il marrone, il verde e il grigio. E poi, con un ulteriore
lavoro di sottrazione, ho spostato l’azione nella foresta più selvaggia e
incontaminata. Tutto ciò mi
serviva per mostrare in che modo i miei personaggi sono in grado di reinventare
il mondo. In pratica ho raccontato una fine e un nuovo inizio.
L’utilizzo della musica elettronica serve a dare ritmo al
film come pure a far sentire il senso di straniamento che attanaglia
l’esistenza dei personaggi. Mi spieghi come sei arrivato a questa scelta?
Nel cinema ci sono due modi di utilizzare la musica. La
prima ha una finalità psicologica e serve per commentare lo stato d'animo dei
personaggi. La seconda è invece legata al piacere di raccontare la storia e di
fornirgli un ritmo. Nella musica elettronica c'è qualcosa che va avanti, che
esprime quella continua progressione rintracciabile nel comportamento dei miei
protagonisti. Avevo però bisogno di eliminare quella perfezione derivante dalla
natura sintetica di suoni ricreati al computer. Una caratteristica adeguata a
un film come "Drive" che anche nella sua estetica esprimeva
un'impeccabilità davvero fuori dal comune. Io invece, avevo bisogno
dell'energia propria della musica rock,
e così ho realizzato la colonna sonora dal vivo, con strumenti musicali che mi
hanno dato quelle piccole mancanze necessarie a riscaldare il sound del film.
Lo stile di recitazione degli attori è tanto particolare
quanto efficace. Me ne vuoi parlare?
Gli attori che ho scelto hanno una natura molto fisica,
simile a quella dei loro personaggi. Ed è proprio questa predisposizione che ho
portato all'interno del film, nella certezza di riuscire a farla diventare
l'energia della storia. Ogni gesto compiuto dai due ragazzi, anche il più
semplice, viene compiuto con una serietà e una determinazione che la dice lunga
sul carattere volitivo e sulla determinazione che li contraddistingue. Prima
del film ho organizzato delle sedute di preparazione organizzate singolarmente
perchè volevo che i due attori si conoscessero direttamente sul set e in
coincidenza della scena che li vede per la prima volta insieme. Per farti
capire meglio mi ricordo che ad un certo punto Aedel Haenel (Madeleine)
risponde in un modo talmente veloce da rendersi incomprensibile. In quel caso
invece di rallentarla le ho detto di accelerare la parlantina, e così ho fatto
ogni volta che gli attori lasciavano entrare nel copione la parte più spontanea
della loro personalità.