Quando, un po' di tempo fa, ho "classificato" i film che in un certo qual modo hanno rappresentato la mia infanzia cinematografica, ne ho dimenticato uno molto importante ma che, in effetti, avevo ormai rimosso dalla mia memoria difettosa. Sto parlando di Hook - Capitan Uncino, film di Steven Spielberg del 1991, facendo dei rapidi calcoli una vita fa. Ma era il 25 Dicembre, ed io avevo appena trovato il tempo di rilassarmi un attimo sul divano davanti alla tivù, quando ecco passare sullo schermo questo film e riaccendersi una sfocata lampadina. Il punto di partenza è stato una lacrima. Non di tristezza, né di felicità, ma di nostalgia. Una sensazione che ti scalda il cuore ma allo stesso tempo te lo stritola: dov'è finito il bambino che era in me? Da qualche parte, sepolto sotto la polvere del tempo che non ci vuole molto a soffiar via ma pur sempre sepolto, altrimenti non mi sarei mai dimenticato di questa pellicola che vidi tante volte in videocassetta da piccolo, quella che mi aveva regalato mio papà per un Natale di non ricordo quanti anni fa. E allora riportiamolo un po' alla luce (quel bambino), ho pensato, e quale modo migliore se non parlare di questo film qui, su Combinazione Casuale?
Vorrei partire da un presupposto: non sono un fan di Spielberg, né un suo detrattore. Ci sono film del regista americano che mi piacciono molto, altri che mi piacciono un pochino e molti che mi fanno schifo. Vuoi per la retorica, vuoi per il genere, vuoi perché tutte le volte che ho provato a guardare A.I. mi sono addormentato inesorabilmente. Sicuramente Hook è una sua pellicola minore ma allo stesso tempo è una delle più rappresentative, dove pregi e difetti dell'"autore" vengono alla luce alla stessa maniera, con la stessa potenza. C'è da ammettere che questo è un film prevalentemente per bambini, addirittura di formazione, e che quindi a molti adulti ha fatto schifo all'epoca della sua uscita e continua a farlo anche in quella attuale. Per non parlare di quanto possa far schifo ai bambini dell'epoca che in questa attuale sono diventati adulti. Eppure la bellezza è negli occhi di chi guarda, cosa non sempre vera ma perfetta per esprimere quel che ho provato riguardando Hook a ventinove anni suonati. La rilettura del classico di James Matthew Barrie (ma più che una rilettura, un sequel) ripropone un Peter Pan in veste moderna, adulto e dimentico di quel che è stato il suo passato, partendo da un'idea complementare alla poetica del regista, che dal canto suo spinge l'acceleratore sugli aspetti fanta-avventurosi ponendo lo spettatore di fronte una problematica comune: quella del perdersi nell'età adulta, di privarsi di quel che è forse elemento imprescindibile nella vita di chiunque: la fantasia! E allora il fu Pan, che ha deciso di abbandonare l'Isola che non c'è e i suoi bimbi sperduti per rincorrere un sogno d'amore (l'età adulta, appunto), diventa un grigio uomo d'affarri con prole e moglie scontenti, finchè il passato sottoforma di un pirata armato di uncino non torna a ricordargli chi era e da dove è venuto.
Film per bambini, ho detto. Ma neanche tanto: se si guarda con attenzione Hook è caratterizzato in modo tale da far paura ai più piccoli (un tempo, non certo ora che i bambini sono piccoli e spaventosi adulti abituati a ben altro) proponendo la classica lotta età adulta/infanzia ma caratterizzando gli adulti (i pirati) come uomini neri. Questo almeno all'inizio, perchè poi il tutto diventa farsesco, una sorta di Signore delle Mosche pieno di colori e buoni sentimenti, la rivincita dei più deboli guidati dalla voglia di essere ancora liberi proprio come sono liberi i bambini contro i pirati, bambini troppo cresciuti anche loro, infelici perchè senza amore ma comunque privi di malizia. La riscoperta del gioco, della voglia di creare attraverso l'immaginazione, di vivere anche il più doloroso dei momenti (la morte) come fase imprescindibili dell'esistenza umana, che non deve demoralizzare ma spingere a vivere giorno per giorno, senza dimenticare quel che c'è di bello. In questo il film riesce benissimo, divertendo e commuovendo, e si vadano a far benedire tutti i difetti, le smaccate stucchevoli, il gigioneggiare di attori premi Oscar (Robin Williams e Dustin Hoffman) e il finale smielato. Vedere un Giacomo Uncino invecchiato, con occhialetti e parrucca, non ha prezzo ed è il sogno di ogni bambino (cosa sarebbe successo se...) e si sopporta persino Charlie Korsmo nel ruolo di Jack, l'irritante figlio di Peter, che si avrebbe voglia di infilarlo nella "bomboniera" e non pensarci più. Dipende proprio da con quali occhi si guarda: io l'ho fatto con quelli dell'immaginazione tanti anni fa, quando avrei voluto vivere anch'io strabilianti avventure su un isola da favola, volando e combattendo contro i pirati, e con quelli del cuore recentemente, perchè si tratta di momenti irripetibili che non torneranno e che riassaporati donano quasi una sensazione estatica. Un po' come guardare Julia Roberts in veste di fatina e Bob Hoskin in quelle del nostromo Spugna, vera perla nascosta della pellicola. E allora che ben vengano gli occhi lucidi, il tornare bambini che la quotidianità cerca in ogni modo di impedire. Ben venga un regista con la sindrome di Peter Pan che si ostina a voler fare quel tipo di cinema (e che ci guaganga, furbone). Gli perdono anche le cagate che ha girato nel corso della sua lunga carriera perchè in quel lontano 1991 mi ha fatto un regalo enorme e nel momento in cui ho avuto più possibilità di apprezzarlo. E se non siete d'accordo con me non importa, me ne farò una ragione.