Pesa 44,5 carati (8,9 grammi), il suo insolito colore blu profondo e intenso lo rendono di una spietata bellezza, spietata come la sua fama di portasfortuna: chi lo ha posseduto è morto in circostanze tragiche o è stato vittima di guai d'ogni sorta. Si chiama Hope, nome beffardo per una pietra maledetta, ed è uno dei diamanti più famosi al mondo e tutt'ora è custodito presso lo Smithsonian Institute di Washington.
Secondo la leggenda questo diamante, originariamente di ben 112 carati, fu rubato dall'occhio della statua di un dio indiano, Rama-Sitra, scatenando l'ira della divinità che maledisse la pietra e tutti coloro che l'avessero posseduta, a partire da Jean-Baptiste Tavernier, ovvero colui che si impossessò per primo del prezioso monile. Fatto sta che poco dopo Tranvier fece bancarotta, morendo poi durante il viaggio che lo avrebbe condotto in India nel tentativo di ricostruire la sua fortuna. Il secondo proprietario, Luigi XIV, ne ridusse i carati a 67,5 facendolo tagliare a forma di cuore e morì fra atroci sofferenze, così come Luigi XV, l'uno per cancrena ad un piede e l'altro per un vaiolo di tale virulenza che causò l'inizio della decomposizione del sovrano mentre ancora era vivo. Hope fu poi donato a Maria Antonietta che lo incastonò in una collana. La sua tragica fine, insieme a quella del marito Luigi XVI, è ben nota: furono decapitati entrambi durante la Rivoluzione Francese.
Trafugato insieme ad altri monili, Hope passò nelle mani di un gioielliere che morì d'infarto non appena scoprì di essere stato derubato. Il figlio del gioielliere, nonché autore del furto, si suicidò non appena seppe di essere la causa della morte del padre. L'amico, che trovò il diamante fra i beni lasciati incustoditi, morì poco dopo. Nel 1830 la preziosa gemma, passando di mano in mano, giunse a Londra. Qui venne nuovamente tagliata e portata all'attuale caratura di 44,5. Il suo nome "Hope" lo si deve al banchiere londinese Hope che per aggiudicarselo e ribattezzarlo col suo nome pagò una cifra esorbitante, subito dopo però i rapporti con la moglie si deteriorarono fino a causare la separazione della coppia e Hope si affrettò a disfarsi del monile maledetto. Jacques Colot, il successivo proprietario, impazzì e si suicidò dopo averlo venduto al principe Kanitowskij, che la donò ad una ballerina uccidendola poi in un raptus di gelosia. Nemmeno il principe però si salvò: morì linciato dai rivoluzionari russi. Simon Matharides, un gioielliere greco, si sfracellò in un burrone ancora prima di ricevere materialmente la pietra. Abdul Hamid, il successivo proprietario, fu deposto e impazzì un anno dopo averlo acquistato. Edward Beale McLean, proprietario del Washington Post, acquistò il diamante da Cartier, che a sua volta l'aveva acquistato dal sultano, e lo donò alla moglie. Ne seguì la morte della madre di McLean, quella di due cameriere e del figlio primogenito di appena 10 anni, investito da un'auto. I coniugi Mclean divorziarono, il marito venne distrutto definitivamente dall'alcolismo rincarato da uno scandalo, mentre la moglie non volle disfarsi della pietra maledetta fino a quando la figlia nel 1946 si suicidò coi barbiturici. L'ultimo proprietario privato, il gioielliere Henry Winston, lo donò allo Smithsonian Institute di Washington dove tuttora è esposta al pubblico dentro ad una teca dotata dei più moderni sistemi di sicurezza.
Non c'è che dire, fra leggende, maledizioni o semplici e sfortunate coincidenze, la storia di questo famigerato diamante è costellata di sventure degne di un'avvincente romanzo o di un film campione d'incassi come per esempio Titanic. Nel colossal di James Cameron viene infatti utilizzato un diamante con le stesse caratteristiche di Hope, il Cuore dell'Oceano, e viene anche narrata nel film parte della sua leggendaria storia.