Da "A GRANGOLA!", cerimonia di premiazione del concorso letterario di Villa Petriolo 2010 La gaia mensa
Un altro bel racconto per il concorso letterario di Villa Petriolo 2010 "La gaia mensa". Buona lettura!
Antonio Viciani è nato a Firenze il 14 aprile 1966, sotto l’alluvione.
Scrive di sé: "Come tanti amanti della lettura, un bel giorno non ho resistito e ho preso la penna in mano. Scrivo per piacere, per raccontare qualcosa che può esser detto meglio così che in una conversazione, per lasciare correre finalmente liberi tanti piccoli ospiti che mi accompagnano troppo clandestini da una vita. Sono pensieri e fantasie, immaginazioni, storie, sono la vita che passa sotto i miei occhi. Allora scrivo racconti, favole per bambini, romanzi. Di generi e forme sempre mutevoli. Come la fantasia".
Racconto "Hors d’oeuvre" di Antonio Viciani
“Clara. Clara! Venga subito qui! Dove ha messo le rose?! “
“Ma le ho lasciate in macchina, signor Guido, tanto è fresco oggi.”
L’uomo scosse la testa, dubbioso. “Ma è sicura che non si siano sciupate ?”
“Certo, non si preoccupi,” fece Clara lucidando un vassoio d’argento “ sono vent’anni che faccio la cameriera, lo so come si prepara una sala, sa?”
“Vado un momento alla toilette, Clara. Prosegua con le posate, disponga i fiori e ravvivi il fuoco, grazie.” Disse sgusciando a passi leggeri sulla moquette champagne per dirigersi con passo deciso sotto la volta di pietra che conduceva ai bagni.
Soddisfatto del risultato della rasatura Guido depose il rasoio sulla mensola dell’étagère, accarezzò con lo sguardo le volute Art Nouveau dei sostegni e gli tornò alla mente quel negozietto di Cannes dove aveva acquistato il grazioso mobile almeno venti anni prima.
“L’anziana Signora che me lo ha ceduto non lo ha fatto per bisogno,” spiegò il commesso in un italiano incerto ” anzi, nel farlo aveva uno sguardo divertito. Se mi permette l’ardire…uno sguardo che mi ricorda il suo!”
Non lo comprò per quello ma il mattino dopo passeggiando risaliva il colle sul quale si ergeva la dimora dell’anziana signora.
Era una vecchia casa eretta nei tardi anni venti, in uno stile che strizzando l’occhio al Futurismo in arrivo abbandonava nostalgicamente i motivi classici dell’Art Decò conferendo alla struttura un’aura misteriosa. Un bovindo bianco semicircolare, aggettato sulla splendida veduta della Costa Azzurra, ospitava un salotto in vimini bianco dove la Signora, in un raffinato abito orlato di pizzo, sedeva immersa fra rose di mille colori con un libro fra le mani e lo sguardo perso nel cielo.
La Contessa Marie Bernadette de Vaugirard aveva accolto lo straniero con una strana naturalezza, come se stesse aspettando proprio lui.
Il giovane si trattenne a Cannes molto più del previsto visitando la dimora dell’anziana signora ogni giorno e ascoltandone le dissertazioni sulle tradizioni gastronomiche dei più sperduti borghi d’Europa.
La Contessa si rivelò una cuoca di prim’ordine e per qualche inspiegabile motivo pareva aver atteso proprio lui per tramandare la sua esperienza straordinaria. Il giovane fu conquistato, soggiogato, asservito, domato, controllato e vinto. Comprese quanto potesse essere diverso girare un consommé con un mestolo di legno o di rame, conversò sulla natura delle spezie e imparò a “sentire” tempi di cottura. Furono sette giorni di cipolle, burro, aglio, manzo, cacciagione, salse e trasmessi, un turbine che avrebbe sconvolto anche l’Artusi ma trasformò l’anatroccolo in cigno. Era nato uno chef.
Guido ripose il rasoio nel cassetto dell’étagère ma quando fece per chiuderlo sembrava bloccato. Allora spinse, tirò, scosse, ma nulla, il cassetto non voleva saperne di chiudersi. Quindi lo sfilò dalla sua sede e ne scivolò fuori un foglio ingiallito.
L’uomo notò la grana grossa della carta fatta a mano, più pesante di un foglio moderno e lo aprì. Era scritto in francese, la scrittura di Madame.
“Signor Guido, venga, c’è il signor Paolo per lei.” Disse a voce alta Clara. L’uomo fece scivolare il foglio in tasca e andò incontro al nuovo venuto.
“Paolo, che piacere! Posso offrirti un caffè?”
“No grazie, Guido, sono di corsa, anzi non dovrei neanche essere qui. Possiamo parlare tranquilli da qualche parte? ” chiese.
“Come no, vieni.” E così dicendo Guido svanì sotto l’arco che portava alla splendida cantina scavata nella roccia.
“Allora Paolo, che sono tutti questi misteri?”
“Ecco Guido, il fatto è che, cioè lo sai che in banca ci sono nuovi protocolli, insomma che noi direttori ormai non contiamo più nulla. C’è Basilea due, no? Lo sai, vero?”
“Si Paolo e noi ci conosciamo da molti anni, puoi parlarmi liberamente.”
“Bene sai allora mi spostano, si, insomma fra dieci giorni io sono fuori, mi mandano a dirigere una filiale di Milano.”
“Cavolo! Bene, sono contento per te! Dobbiamo festeggiare. Ora cerco una bottiglia buona…” ma Paolo lo interruppe a metà frase prendendogli il viso fra le mani, quasi volesse baciarlo. Poi gli sputò in bocca un “Maremma, Guido, non capisci?!! Siamo fregati tutti e due!” .
“Eh ? che stai dicendo, Paolo?”
“Ma Guido, Basilea due! Sai che vuol dire o no? Maremma ‘mpestata siamo fregati!!! Quelli, come buttano i dati nel programma, gli salti all’occhio come un bianco ad Harlem! C’hai i conti tutti rossi, Guido!”.
“Eh ? Che cavolo stai …” Ma Guido si arrestò a metà frase con le parole gelate in bocca.
In realtà sapeva da tempo di essere sul filo del rasoio e che le aperture di credito che aveva avuto in passato erano prive di reali garanzie.
“Guido è un disastro! Anche io sono fregato perché il nuovo direttore appena se ne accorge chiama in centrale! Maremma, Guido fai qualcosa, devi buttarci dentro duecentomila euro entro lunedì !”
“Duecentomila euro? Ma dove li trovo secondo te in tre giorni?”
“Non lo so Guido, venditi la casa, fai le marchette. Che ne so, fatteli prestare dalla tua ex moglie!” Paolo aveva le lacrime agli occhi.
“Signor Guido? E’ arrivato il Dottor Laurenzi” La voce di Clara cadde nella cantina come uno scroscio di pioggia a ferragosto.
Guido, come un automa disse “ Paolo, non preoccuparti, vedrai che sistemo tutto, chiamami più tardi, ora ho da fare.” E, come se niente fosse risalì le scale portandosi via lo sguardo disperato di Paolo.
Il Dottor Achille Laurenzi sfoggiò un sorriso a trentadue denti, allargò le braccia e cinse Guido nel modo più convenzionale e falso che possiate immaginare, esclamando “Che piacere incontrarvi, Signor Cosmi! Era per oggi, mercoledì, vero? Non mi sono sbagliato?”. Guido ricambiò la falsità e lo accompagnò al suo tavolo.
Quindi volò in cucina dove Nino, il suo fidato aiuto cuoco napoletano, volteggiava fra i fornelli come un derviscio rotante. Come sempre, quando era in cucina, dimenticò i problemi e si sentì come un direttore d’orchestra, con il mestolo al posto della bacchetta e tutte le pentole accordate per suonare la nona di Beethoven al Concerto di Capodanno!
Avrebbe superato se stesso, decise. Poi avrebbe chiuso bottega, visto che era inevitabile, ma se ne sarebbe andato fra gli applausi.
Il tempo di intrattenerlo con un’entreè di Capesante all’arancia accompagnate da un singolare Vin Ruspo di sua scoperta e la supreme di aragosta scivolò sul piatto principale per stupire l’annoiato palato del critico. Il miglior Bianco di Valdinievole di un’etichetta piuttosto inusuale, imbiondì il secondo calice del critico.
“Ca va, Dottor Laurenzi ?” chiese.
“Mmmh. Così, così, Guido.” Concesse con sufficienza l’augusto commensale.
Al diavolo te e tutta la tua prosopopea da sbruffone, pensò lo chef fra se replicando untuosamente.
“Sono costernato, vedremo di far meglio con la portata successiva, Dottor Laurenzi.”
Qui serve un chiarimento: dovete sapere che Achille Laurenzi, famoso per le sue stroncature bibliche, era inviso a tutti ristoratori per l’antipatia e la falsità dei modi. Tuttavia il suo ruolo di Presidente dell’Unione Europea Chef gli conferiva un potere di vita o di morte su tutte le guide. Il ristorante di Guido, che già poteva fregiarsi di una croce di forchette, avrebbe potuto in questa occasione procurarsi la seconda e magari, grazie alla recente ristrutturazione delle sale e al recupero artistico delle cantine, ottenere addirittura la segnalazione in rosso di luogo ameno e speciale.
Questo pasto era dunque il più importante della storia del locale e Guido per questo e gli altri gravi motivi era teso come una corda di violino. E non si poteva certo dire che le cose stessero andando per il verso giusto.
Entrato in cucina lo Chef si sedette, raccolse la testa fra le mani e pianse. Pianse come un bambino, come mai gli era capitato da tantissimi anni. Cercò in tasca il fazzoletto e trovò un foglio. Era quel vecchio foglio con la grafia della Contessa, lo aprì e lesse. Lesse ancora. Lesse una terza volta. Infine gridò “Si!”.
Chiamò Nino come un ossesso e impartì ordini a lui e all’onnipresente Clara, quindi salò, condì, tagliò, assaggiò, annusò e infine, con innata teatralità dispose in porcellana l’hors d’oeuvre che valeva tutta la sua vita. Prese il Rosae MnemoSis 2007 che teneva per le occasioni speciali ed entrò trionfante in sala.
Due ore dopo Laurenzi chiamava in direzione a Roma per annunciare le tre forchette rosse scoperte nel ristorante visitato in serata: uniche in quella zona. Aveva riposto nella valigetta l’accordo privato con cui era entrato in società nel ristorante e la matrice dell’assegno da duecentomila euro lasciato al proprietario del locale.
A mezzanotte Nino, stanco morto, mise a posto le ultime pentole e indossò il cappotto per uscire. Trovò in terra uno strano foglio di carta grossa, l’accartocciò e lo buttò nella spazzatura, quindi chiuse la porta e uscì. Stava per avviare il motore dell’auto quando ci ripensò e incuriosito dalla strana grana del biglietto volle tornare a dargli un’occhiata.
Prese il foglietto dal cestino, lo aprì e l’osservò con attenzione. Ma chi ci capiva nulla, pensò, doveva essere in qualche lingua straniera, per cui lo gettò di nuovo nella spazzatura, chiuse il sacco e lo portò al cassonetto.